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I "velociraptor" da tastiera non sostituiscono il mercato

di Emanuele Davide Ruffino

I bonus trasporti (60 euro per gli abbonamenti al Trasporto Pubblico Locale) sono stati esauriti nel giro di poche ore in quanto, rende noto il ministero, "non è possibile procedere con la richiesta del bonus trasporti per il momentaneo esaurimento della dotazione finanziaria". Il 2 ottobre a 213.280 richiedenti è andata bene (soprattutto i giovani: il 57,2% dei beneficiari ha meno di 30 anni), agli altri niente, o più correttamente devono aspettare l’apertura di nuovi bandi. Sul fronte opposto sono state 1.116 le aziende esercenti il trasporto pubblico sul territorio nazionale per le quali è stato emesso almeno un bonus (vince Trenitalia con 417.554 voucher emessi).

Il risultato fa riflettere sulle modalità di incontro tra domanda ed offerta che, di norma, dovrebbe regolare i rapporti commerciali.


Le esortazioni dell'Ocse

I “quasi mercati”, elaborati dall’esperienza inglese, si basavano sull’introduzione di processi competitivi volti a promuovere l’efficienza nella produzione dei servizi e l’aderenza dell’offerta all’articolazione della domanda individuale e collettiva: si tentava così di superare il tradizionale approccio pubblico, con “mercati interni” che vedono lo Stato mantenere un controllo sul funzionamento del sistema. La soluzione originale ed efficace mantiene nell’alveo del pubblico le attività di indirizzo e programmazione, mentre delega alcune produzioni di beni e servizi ad organizzazioni indipendenti (pubbliche, private, for profit, no profit).

Tali istituzioni sono chiamate a competere tra loro per acquisire clienti e, quindi, vedono dipendere il loro finanziamento dalle scelte dei destinatari dei servizi o dei rappresentanti degli utenti finali, attuando così una forma di concorrenzialità.

A richiederlo è stato anche l’ultimo ammonimento dell’OCSE (Rapporto ottobre 2023) che esorta l’Italia a promuovere, in primis, maggiori forme di concorrenza (soprattutto “nel settore dei servizi, garantendo una rapida attuazione della riforma approvata nel 2022”) e ad una maggiore attenzione agli equilibri finanziari. Le soluzioni adottate in Italia tendono invece a realizzare dei “non mercati” (o negazione del mercato) per soddisfare visioni parziali e senza progettualità, ma inseguendo un’effimera rincorsa a slogan demagogici.

Il termine “mercato”, in certi ambienti, è ormai considerata una parolaccia in quanto si pensa che con provvedimenti ad hoc si possano (e in alcuni casi effettivamente si deve) superare quelli che sono meccanismi che possono provocare nocumento ad interi gruppi. Il problema è che ormai tutto ciò che accade viene vissuto come un avvenimento per cui è necessario l’intervento della finanza pubblica, compromettendo ulteriormente il deficit pubblico (ma l’Europa, tramite il commissario per l’economia Paolo Gentiloni, ci sta dicendo che il bel gioco è a fine corsa).

Il vecchio mercato, in condizioni di concorrenza perfetta, cercava di conciliare la domanda con l’offerta attraverso un continuo adeguamento del prezzo e, nel caso dei merit goods, l’intervento dello Stato portava ad essere più appetibile il consumo di quei beni di utilità generale (ad esempio beni non inquinanti, ed oggi, beni che aiutano a sottrarci dalla dipendenza di fornitori stranieri scarsamente affidabili).


Di stortura in stortura

Nel caso dei trasporti, senza entrare nei meccanismi che “non” governano la concessione di licenze dei taxi (cui nessun governo tecnico o politico riesce a dare razionalità), un aumento della benzina dovrebbe ridurre il consumo (inquinando di meno), mentre il ricorso ai mezzi pubblici deve essere incentivato per ridurre il congestionamento dei centri metropolitani, ma per essere efficace deve avere validità erga omnes e non ristretto ad una stretta fascia di "velociraptor" da tastiera.

Il problema è che questa prassi si sta ripetendo un po’ troppo spesso: con il bonus al 110% qualcuno si è rifatto la casa nuova, altri gliela devono pagare con anni di finanziarie bloccate; la riforma delle pensioni ha portato, in base alle annate, a godere di condizioni favorevoli (in alcuni casi, sfacciate), altri per un giorno di differenza alla nascita, anziché andare in pensione a 60 anni, rischiano di andarci sette anni dopo; il rientrare in una zona depressa per pochi chilometri (o pochi metri) permette di godere di particolari agevolazioni; alcuni possono godere di particolari servizi sociali e sanitari, altri ne sono di fatto esclusi… e tante altre sperequazioni. Molti di questi provvedimenti sono stati presi per correggere o sostenere il mercato, ma di fatto ne impediscono di attuare quella “mano invisibile” che permette di selezionare, in una logica darwiniana, l’efficiente dallo spreco.

A complicare le cose sono stati i cosiddetti Governi tecnici che, anziché restituire sostenibilità alle condizioni economiche della società, non solo non hanno ridotto il deficit, ma hanno creato ulteriori discrepanze, mettendo in essere provvedimenti estemporanei senza una visione globale di crescita della società.

Un falso perbenismo intellettuale tende a creare norme che rispondono più ad una necessità di apparire corretta, più che a rispondere alle reali esigenze. Eppure già in quello che potrebbe essere il primo testo di teoria economica, una vera e propria prolegòmena, attribuita Ibn Khaldun di Tunisi (1332-1406) si definì la funzione a forma di “U” rovesciata dell’andamento del gettito fiscale in rapporto alle aliquote (dimostrando che oltre un certo limite, l’aumento delle aliquote fiscali fa diminuire il gettito fiscale complessivo).

Emanare un provvedimento senza considerare gli effetti che questo produce, ma solo per rispondere ad un’esigenza estemporanea in spregio alle leggi naturali del mercato, sta provocando una distorsione non più tollerabile perché crea più diseguaglianze di quelle che cerca di evitare.


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