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Elly Schlein e Pd: prove d'unità "vera" e non di facciata

di Alessandro Bizjak*


All'indomani del 26 febbraio scorso, dal giorno della vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd, alcuni osservatori hanno progressivamente paventato il rischio di una deriva radicale, addirittura massimalista, con la progressiva marginalizzazione delle culture politiche fondative. Del resto, per la prima volta nella ormai non brevissima storia del Partito democratico, fondato il 14 ottobre del 2007, il voto delle primarie ha ribaltato l’esito della consultazione fra gli iscritti, consentendo ad Elly Schlein di prevalere nella corsa alla segreteria nazionale sullo sfidante Stefano Bonaccini, il favorito della vigilia. Più di un milione di persone in tutta Italia si sono recate ai gazebo esprimendo la loro preferenza. E nei votanti ha prevalso indiscutibilmente la volontà di lanciare un segnale inequivocabile di discontinuità, soprattutto rispetto al deludente risultato delle elezioni politiche.

Non a caso, Elly Schlein ha saputo catalizzare rispetto al presidente della Regione Emilia Romagna, l’attenzione ed il consenso degli elettori non aderenti e di coloro che hanno dichiarato di posizionarsi a sinistra nel panorama politico, apparendo moderna e contemporanea. Con riferimento alle alleanze è risultata abbastanza evidente la propensione di chi ha espresso l’appoggio alla candidatura vincente per la ripresa di un rapporto con il Movimento 5 stelle, piuttosto che con i centristi. E da fine febbraio, gli istituti demoscopici registrano un progressivo aumento nelle percentuali di voto per il Pd, posizionandolo stabilmente al di sopra del 20 per cento. Si percepisce abbastanza distintamente una ripresa di partecipazione ed entusiasmo nella fase post-congressuale.

Il tema è dunque come tradurre questo “rimbalzo” in una prospettiva politica stabile, particolarmente in vista delle elezioni europee ed amministrative della primavera 2024. Ovviamente il passaggio non è agevole: implica innanzitutto il rafforzamento dell’azione di opposizione al Governo delle destre, perseguendo la ricerca di proposte unificanti con le altre forze politiche di minoranza. Penso alle questioni istituzionali, in primis presidenzialismo e autonomia differenziata, alla riforma del sistema fiscale e da ultimo, non certo per importanza, ai temi del lavoro per il quale a fronte di stanziamenti a tempo per la riduzione del cuneo fiscale - come ha dimostrato l'iniziativa del governo varata simbolicamente e polemicamente contro i sindacati proprio ieri, Primo Maggio, diminuiscono le tutele per i soggetti fragili e si avvia una stagione di precarizzazione ulteriore dei contratti. Altro nodo rilevante è la costruzione di una strategia e di una linea unitaria, non soltanto di facciata, all’interno dell’universo democratico.


Ruolo e compito dei cattolici democratici

Dunque, a due mesi dall'apertura del nuovo corso PD, è lecito esprimere sul punto qualche considerazione: la composizione della segreteria, nella quale sono presenti solo esponenti delle due mozioni che si sono confrontate alle primarie, non riflette esattamente il tentativo di unità nel pluralismo, emerso all’indomani della conclusione del congresso.

Doveroso alimentare la novità, senza scadere però nel nuovismo; occorre che si traggano lezioni positive da precedenti esperienze, ad esempio quando era molto di moda il termine rottamazione. Sul punto si è recentemente aperto un dibattito in particolare fra i cattolici democratici che militano nel PD. In molti si sono chiesti se nell’attuale contesto il Partito Democratico è ancora il luogo e lo strumento attraverso il quale questa esperienza può continuare a dare il suo contributo all’affermazione di una proposta politica riformista per il Paese.

Due mesi sono certamente un termine troppo esiguo per avanzare giudizi compiuti, tuttavia come scrive Marco Damilano in un articolo del 22 aprile scorso su “Domani” spetta alla neo segretaria ricostruire il tessuto di una politica popolare e tocca ai cattolici ritrovare quel filo per essere protagonisti anche in questa fase. Non vi è dunque oggi uno spazio diverso per costruire una alternativa a populismo e sovranismo se non attraverso il PD, come anche le vicissitudini del cosiddetto terzo polo dimostrano: occorre farlo con spirito di costruttivo da parte di tutti, senza chiusure e pregiudizi in particolare da parte di chi è stato chiamato a ricoprire incarichi di significativa responsabilità.

Se dovesse perdersi anche solo una delle cultura fondative, l’Ulivo dovrebbe scomparire dal simbolo e ci troveremmo di fronte ad un soggetto del tutto diverso anche nei fondamentali rispetto a quello nato nel 2007.

Benigno Zaccagnini da segretario della Democrazia Cristiana seppe instaurare uno speciale rapporto con le giovani generazioni del tempo, quando incontrava le future classi dirigenti spesso affermava che era necessario essere rivoluzionari nel cuore e riformisti nella testa. Forse serve recuperare anche oggi questo spirito.


* già Consigliere della Provincia di Vercelli e della Regione Piemonte

Componente delle Direzione Regionale del Partito Democratico




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