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Distorsioni del reale e realtà inflazionistiche

di Emanuele Davide Ruffino e Giancarlo Buffo

Siamo di fronte ad una vera e propria “economia di guerra”, anche in assenza di un diretto coinvolgimento nel conflitto; l’attuale crescita dei prezzi è la tipica manifestazione di una “inflazione da guerra” causata soprattutto da un aumento dei costi di alcune materie prime, resesi di difficile reperimento causa il conflitto. Diminuisce il potere di acquisto di cittadini e delle piccole e medie imprese (PMI), si colpiscono i risparmi con una duplice modalità: la riduzione del potere d’acquisto e l’assenza di remunerazione dovuta ad una politica monetaria dei tassi scollegata dall’andamento dell’economia reale e del valore dei beni e servizi. E, come spesso accade, in previsione di crisi e guerre si verifica un’irrazionale corsa agli accaparramenti (all’epoca della Guerra del Golfo, nel 1991, fu lo zucchero, oggi è l’olio di semi).



L’attenzione verso possibili grandi speculazioni non permette di cogliere le tante accortezze che vengono attuate per non far sembrare così costoso l’impatto dell’inflazione (dal latino “inflatio”: enfiamento, gonfiatura). Barrette di cioccolato leggermene più piccole, pacchetti di patatine con un numero di sfoglie inferiore, flaconi non più riempiti al colmo (qui più che gonfiare si tratta di decurtare). La tecnica è quella di mantenere invariato il prezzo e di diminuire impercettibilmente il contenuto (l’inflazione c’è, ma non si vede). L’inflazione dei furbetti

Non si tratta solo di un fenomeno nostrano (l’Italia è sempre stata considerata la patria dei furbetti) ma è presente in molti altri Paesi, tant’è che gli anglosassoni hanno coniato il termine shrinkflation, unione del verbo ‘shrink’, restringere, e del sostantivo “inflation”, che rende bene l’idea di come l’impatto inflazionistico possa essere mitigato ritoccando il valore e i volumi dei prodotti messi in commercio. Le grandi imprese multinazionali mantengono e talvolta accrescono i loro margini operativi in presenza di “inflazione” attraverso la riduzione della qualità dei prodotti, la diminuzione della quantità a parità di prezzo, nonché l’allocazione delle produzioni in Paesi economicamente più convenienti. Se nelle etichette viene riportato il peso corretto non si può parlare di truffa, ma occorre fare affidamento a termini più dialettali come buggerare il consumatore. A provarci sono un po’ tutti, cercando si riposizionarsi per superare gli impatti negativi di un aumento del prezzo sulla curva domanda-offerta dei loro prodotti. Se il consumatore non si accorge delle modifiche si mantiene inalterato il fatturato, con uno sgravio di costi. Le PMI però subiscono gli effetti inflattivi sia in termini di minore competitività, sia per l’impossibilità di scaricare sui clienti i maggiori oneri dovuti all’incremento incontrollato dei costi dei fattori produttivi. Di interesse sono pure le iniziative di alcune organizzazioni di categoria che propongono un “patto” con la propria clientela, offrendo il mantenimento dei prezzi se si accettano condizioni di costanza e programmabilità: è questo l’iniziativa dell’Unione Artigiani di Milano che ha chiesto ai clienti dei fornai di prenotare il pane il giorno prima dell’acquisto oppure di programmare gli acquisti settimanalmente, in modo che si riducano gli sprechi per sovrapproduzioni. Le difficoltà per le piccole e medie imprese

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un’immissione impressionante di liquidità da parte delle banche centrali che, a partire dal “whatever it takes” di Mario Draghi è stato un continuo di interventi ai quali, per contrastare la pandemia, si è aggiunto la crescita dei deficit di tutti i Paese, rendendo così maggiormente vulnerabili quelli che già presentavano una forte esposizione. La presenza di liquidità associata ad una produzione stagnante tende a far aumentare i prezzi, e la deflagrazione della crisi delle materie prime causa la guerra in Ucraina ha fatto il resto. A ciò si sono aggiunti gli speculatori che, confidando in un aggravarsi della situazione tendono ad accaparrarsi scorte e contratti vincolanti. La difficoltà per le piccole e medie imprese che non hanno ipotizzato dei magazzini virtuali (intesa come insieme di possibilità alternative nel reperire le risorse necessarie) è drammatica anche per la rapidità con cui si è sviluppato il fenomeno. Le PMI presentano maggiori difficoltà ad accedere al credito del sistema bancario ed il ritardare i pagamenti ai loro fornitori, accentua ulteriormente il problema per un effetto domino. A ciò si aggiunge che il 30 giugno finiranno le garanzie statali sui prestiti concessi e molte aziende si verranno a trovare in seria difficoltà. Il tema è complesso. Non c’è un’immediata difficoltà delle PMI ad accedere al credito, c’è però una problematica reale nel realizzare i programmi di investimento sulla base di previsioni economiche certe. La crescita dei costi dei fattori produttivi fa saltare i piani di investimento, ci vorranno risorse doppie rispetto alle previsioni per attivare lo stesso tipo di intervento. E ciò vale anche per lo stock di risorse del debito PNRR, le opere e le misure che potranno essere messe in campo saranno concretamente ridotte del 50%. Una coperta sempre più corta

L’avvicinarsi alle elezioni del 2023 farà si che sarà adottata qualche misura tampone per far sopravvivere la maggioranza delle imprese, ma è necessario prevedere riforme strutturali perché le scelte operate in passato tendono a limitare i margini operativi. Nel linguaggio popolare una coperta sempre più corta che si può tradurre in un’impossibilità di agire nei momenti di massimo bisogno: esasperare certi strumenti finanziari esterni alle regole di mercato non permette di raggiungere equilibri stabili e a pagarne le spese sono i soggetti più piccoli (gli individui e le imprese familiari) che non possono sfruttare appieno le possibilità offerte da una globalizzazione dominata da interessi particolari dettati da potenze estere. L’eccesso di inflazione non giova neanche agli Stati indebitati che, se da un lato vedono ridurre il loro deficit tramite un deprezzamento più o meno controllato, dall’altro assistono, nel breve periodo, ad un aumento del disavanzo a causa dei maggiori esborsi per gli interessi. L’economia dovrebbe essere una scienza del reale, ma dalle barrette alleggerite all’illusione finanziaria del sentirsi più ricchi, vi sono continue distorsioni irrazionali, in grado di produrre effetti reali. E la nostra società riesce a produrre molte irrazionalità al punto che la stessa realtà risulta falsata e per mettervi ordine occorrerà molto tempo e grandi intelligenze.


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