Da Camaldoli alla dissoluzione di una visione cristiana della politica
di Emanuele Davide Ruffino
Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, nella sua prolusione al convegno “Il Codice di Camaldoli”, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione degli 80 anni dalla sua elaborazione, il 25 luglio 1943, è stato tranchant verso la politica, definita epidermica ed ignorante, capace solo di enfatizzare interessi modesti. Lungi dal difendere la classe politica, se non si vogliono compromettere le relazioni sociali, rimane possibile interrogarsi sul ruolo svolto dalla Chiesa nell’aver creato o non essere riuscita a evitare questo decadimento, lasciando l’Italia uno dei pochi Paesi Europei priva di una formazione politica di ispirazione cristiana. Ora l’idea del cardinal Zuppi di una Camaldoli per l’Europa appare quanto mai opportuna, ma l’Italia rischia di presentarsi impreparata, senza neanche più le basi culturali.
Mater et magistra
Mater et Magistra è l'enciclica sociale, promulgata il 15 maggio 1961 da Papa Giovanni XXIII sull’insegnamento della Chiesa cattolica in ordine ai problemi sociali, che inizia con queste parole: “…Il cristianesimo infatti è congiungimento della terra con il cielo, in quanto prende l’uomo nella sua concretezza, spirito e materia, intelletto e volontà, e lo invita ad elevare la mente dalle mutevoli condizioni della vita terrestre verso le altezze della vita eterna, che sarà consumazione interminabile di felicità e di pace”.
In uno dei momenti più bui della storia italiana alcuni intellettuali, laici e religiosi (tra cui il futuro sindaco di Firenze Giorgio La Pira) di ispirazione cattolica, su sollecitazione di monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) all’epoca nella Segreteria di Stato Vaticana, si ritrovarono nell’eremo di Camaldoli dal 18 al 24 luglio 1943, cioè nei giorni precedenti la caduta di Mussolini, sotto la guida di Mons. Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo e assistente ecclesiastico dei laureati dell’Azione Cattolica, con l’intento di confrontarsi e riflettere sul magistero sociale della Chiesa correlato ai problemi della società, ed in particolare sui rapporti tra Individuo e Stato, tra Bene comune e Libertà individuale.
Il progetto prendeva le mosse dal Codice di Malines, primo tentativo di dottrina sociale cattolica elaborato dall’Unione internazionale di studi sociali di Malines (Belgio), che in una settimana promosse un'idea di Stato e Società, tanto da influenzare negli immediati anni del dopoguerra l'elaborazione della Costituzione Italiana. La stesura finale fu affidata a Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Giuseppe Capograssi, e fu completato solo nel 1944. Certamente non tutti quelli che aderirono a quel progetto politico ne rispettarono i principi e i contenuti, ma da quell’insegnamento uscirono personaggi in odore di Santità (oltre La Pira, Alcide De Gasperi e Aldo Moro) e tanti statisti e amministratori locali di grande valore che, non senza sacrifici riuscirono a rilanciare l’Italia uscita sconfitta dal II° conflitto mondiale.
L’isterismo che portò al crollo della Prima Repubblica spazzò via quella classe politica, senza che la Chiesa secolare si ponesse un problema di magistero. Anzi. Chi ne approvò la dissoluzione fece carriera, così come chi, oggi, insulta la classe politica. Ma il risultato è stato un continuo decadimento dei valori democratici e degli asset che condizionano il modo di vivere nelle società occidentali, senza che la tanto vituperata politica abbia più la possibilità di condizionarne gli eventi, anche per una intrinseca mancanza di preparazione e di riferimenti concettuali.
Ad 80 anni dal Codice il richiamo del cardinale Zuppi
Il convento, appartenente alla congregazione dei Benedettini e fondato da San Romualdo a Camaldoli tra il 1012 e il 1025, è rimasto pressoché immutato nel corso dei secoli ed ancor oggi sembra di vedere i monaci passeggiare tra le austere celle eremitiche assorti nei loro pensieri contemplativi. E forse la pace di quel luogo ispira ancora ragionamenti più elevati, come il richiamo del cardinale Zuppi: “La presenza politica, che avrebbe segnato la ricostruzione e decenni successivi, rinasceva dal grembo della cultura. Uno dei problemi di oggi è invece proprio il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati, molto polarizzati”.
Ineccepibili parole che però per i cristiani deve anche comportare un esame di coscienza sul perché, in modo imbelle, hanno permesso questo decadimento, inseguendo alleanze e compromessi inconsistenti e di breve durata, mentre in Germania e Spagna, ad esempio, hanno continuato a fornire un indispensabile apporto, pur tra luci ed ombre. Quello che è accaduto con la fine della cosiddetta Prima repubblica non è stata una sconfitta elettorale, ma un popolo, quello cristiano, impegnato in politica, che è stato abbandonato a sé stesso quando è stato messo sotto attacco.
Se non si può riscrivere la storia, nei momenti di crisi (ed oggi il post-covid e le guerre ne stanno riproponendo uno drammatico) bisogna rifarsi a principi elevati e quelli elaborati nel Codice di Camaldoli, il cui titolo originale è “Per la comunità cristiana“, può costituire un valido riferimento. L’attuale crisi socio-istituzionale obbliga a rileggere gli argomenti trattati. L’articolazione del Codice partendo dai fondamenti spirituali della vita sociale, sviluppa i seguenti Enunciati:
I – Lo Stato
II – La Famiglia
III – L’Educazione
IV – Il Lavoro
V – Produzione e scambio
VI – Attività economica
VII – Vita internazionale
Il “Codice” pone la giustizia sociale tra i fini primari dello Stato, così come, con altrettanta enfasi, la salvaguardia della libertà. Richiedere oggi ai credenti il coraggio d’impegnarsi nella costruzione di una “comunità umana e giusta” è tanto necessario quanto utopico, in quanto negli ultimi anni è venuta a mancare un’azione culturale e di preparazione: quel magistero che per secoli ha caratterizzato la Chiesa, ma negli ultimi è venuta a mancare per una ossessiva ricerca di buonismo, lasciando spazio a quel protagonismo che il Codice già condannava esplicitamente. I protagonismi indeboliscono se non sanno scegliere l'umiltà del confronto e del pensarsi insieme: per questo è necessario raggiungere una ‘massa critica’ più solida e visibile, coinvolgendo anche culture e pensieri diversi, ma avendo ben chiara la visione che si vuole perseguire per la società in cui si vive. Ma la nostra società ha creato o sta creando persone in grado di raccogliere questa eredità?
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