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Basta con le violenze contro medici e infermieri!

di Enrica Formentin

In occasione della seconda edizione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, che dall’anno scorso si celebra annualmente il 12 marzo, la Consulenza statistico Inail ha analizzato i dati relativi ai casi di infortunio in occasione di lavoro accertati dall’Istituto e codificati come aggressioni e minacce nei confronti del personale sanitario, che nel triennio 2019-2021 sono stati 4.821, per una media di circa 1.600 l’anno.

L'Ulss 6 Euganea tutta, in particolare attraverso lo Spisal - Dipartimento di Prevenzione, l’UOC Rischio Clinico, l'UOS Medici Competenti e Servizio Prevenzione Protezione, ha deciso di lanciare una campagna informativa che prevede l’affissione in tutte le sedi ospedaliere e territoriali aziendali, di un poster dallo slogan chiaro: "la violenza non ti cura”

Subire offese, minacce, insulti, calci e pugni mentre si lavora per salvare delle vite è emotivamente devastante. La strana tendenza che stiamo vivendo in questi ultimi anni vede una crescita esponenziale dei casi di violenza ai danni dei professionisti sanitari; crescita che nemmeno una pandemia, salvo la retorica nazionale, è riuscita ad arrestare. Si tratta di un fenomeno che per la frequenza con cui si verifica sta tendendo alla “normalità”, quando di normale - invece - non ha nulla. Parlarne, creare dibattito, sensibilizzare, questo può essere uno strumento per aiutare il personale interessato a non perdere le motivazioni che hanno portato a intraprendere una professione d’aiuto. Il vissuto di un infermiere, di un professionista che in qualche modo è aggredito è un vissuto che fa fatica ad essere elaborato. Ci sono studi internazionali che ci parlano di episodi di burnout, stress, disaffezione rispetto al lavoro e alla professione, tanto è vero che in questi anni stiamo assistendo a moltissimi abbandoni della professione.

Il crescente numero di aggressioni si svolge soprattutto in Pronto Soccorso, il luogo dove si ha il primo impatto con la realtà sanitaria[1]. Ma il problema delle aggressioni non è solo culturale, poiché è anche legato al fatto che la pandemia ha scoperchiato il vaso di Pandora rendendo noto come la nostra sanità territoriale sia inefficiente se non quasi assente. I tempi di attesa per un qualsiasi esame sono diventati biblici, il cittadino si rivolge al Pronto soccorso pensando di accorciare i tempi, non rendendosi conto di intasarlo con codici bianchi.

Il presidente nazionale Antonio De Palma di Nursing Up sindacato nazionale di categoria chiama poi in causa i datori di lavoro che non possono più nascondersi. Per De Palma, infatti, le aziende sanitarie, ma prima ancora Governo e Regioni, potrebbero essere chiamate a rispondere per la loro indiretta responsabilità, nel momento in cui, assenti o carenti, gli idonei servizi atti non sono in grado di intervenire prontamente contro fenomeni di aggressività. Gli operatori sanitari non devono trovarsi in pericolo nel loro sacrosanto diritto di esprimere la loro professionalità al servizio della tutela della salute della collettività e a volte queste situazioni arrivano a mettere a repentaglio anche l’incolumità degli altri pazienti.

Il Ministro della Sanità Orazio Schillaci ha affermato: "Credo che il Sistema Sanitario nazionale italiano sia validissimo, soprattutto i suoi operatori sono tra i migliori al mondo, e noi cerchiamo di difenderlo in tutti i modi per assicurare una sanità a tutti, indipendentemente da dove vivono e da quanto guadagnano".

In questi ultimi tempi, in collaborazione con il ministero dell'Interno, è aumentato il numero di presidi di polizia presenti all'interno degli ospedali. Ma questo non basta. Un altro grande impegno che deve nascere da chi governa è cercare di rendere nuovamente le professioni sanitarie più attrattive. Questo significa non solo aumentare la retribuzione, ma rendere anche il luogo di lavoro, oltre che più sicuro, anche migliore, far sentire a chi quotidianamente passa il suo tempo in ospedale di far parte di un progetto migliore di cura per gli altri ma anche di soddisfazione personale.

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