Alla scoperta dei siti contaminati in Italia<br>6. Considerazioni conclusive
di Pietro Comba Daniela Marsili e Roberto Pasetto|
Siamo giunti all’ultima puntata del saggio sull’analisi ambientale nel nostro Paese che studiosi e ricercatori di provata credibilità quali Pietro Comba, Daniela Marsili e Roberto Pasetto hanno messo a disposizione della Porta di Vetro. Il loro intervento ha proposto con chiarezza la necessità di intensificare le azioni per salvaguardare l’ambiente e per ridurre i rischi che incombono sulla salute dei cittadini. Rischi che derivano da un rapporto con lo sviluppo industriale che si è progressivamente distorto negli ultimi cinquant’anni. Del resto, i propositi di coniugare profitto e tutela dei diritti delle persone e rispetto di leggi e normative, quasi sempre sbandierati con estrema disinvoltura, quanto accolti con comprensibile scetticismo dai territori coinvolti, sono naufragati alla luce di risultati che – è innegabile – sono anche il prodotto del prolungamento dell’arrendevolezza della classe politica nell’accettare produzioni industriali a rischio. Un’arrendevolezza da Terzo mondo che se negli anni Cinquanta del Novecento era spiegabile – in una logica di spietata e non negoziabile divisione dei mercati internazionali – per assicurare il decollo della nostra economia, nei decenni successivi era ragionevole che dovesse cambiare carattere. All’opposto, quella mentalità è penetrata nel Paese come una malattia endemica e paralizzante di cui oggi si continua a vedere le cicatrici e a pagare prezzi esorbitanti.
L’industrializzazione di Europa e Nord America è stata diffusamente caratterizzata da fenomeni di contaminazione di suoli, acque superficiali, acque di falda e catena alimentare, oggetto di studi e di interventi di risanamento ambientale a partire, indicativamente, dagli anni Settanta-Ottanta del Ventesimo Secolo. Così come i decenni finali del Secolo passato, ancora il Ventunesimo sta assistendo a un’industrializzazione spesso sregolata soprattutto in Asia, Africa e America Latina, che si accompagna alla selettiva migrazione in questi continenti di lavorazioni ad alto rischio e di rifiuti pericolosi, seguendo il gradiente dei diversi standard di qualità ambientale e della diversa cogenza della normativa (Comba et al., 2016). In questo quadro l’Italia ha recepito le norme europee e si misura seriamente con la bonifica dei suoi siti contaminati, ma al suo interno presenta un quadro molto diversificato della protezione dell’ambiente e della tutela della salute, in particolare con situazioni più critiche nel Mezzogiorno, come discusso nel presente contributo. Questa situazione implica l’accentuarsi di diseguaglianze nelle esposizioni a fattori di rischio e ad altre condizioni sfavorevoli, che incidono sulle condizioni di salute delle comunità e degli individui. In questo quadro, si va chiarendo l’importanza di ridurre, fra le altre, la vulnerabilità socio-relazionale, attraverso lo sviluppo di processi di comunicazione partecipati nelle comunità più esposte ai rischi ambientali.Nelle comunità residenti in prossimità dei siti contaminati, infine, appare sempre più necessario mettere a frutto la collaborazione tra scienze della salute ambientale (a partire dall’epidemiologia ambientale) e le scienze sociali (Hoover et al., 2015), così come migliori relazioni tra ricercatori coinvolti negli studi e comunità (Lichtveld et al., 2016) per poter meglio contribuire all’analisi delle cause e dei molteplici impatti che la contaminazione di ampi territori ha sulle popolazioni residenti. BIBLIOGRAFIA
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