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17 giugno 1970: Italia-Germania 4-3, ieri e oggi

Aggiornamento: 12 set 2022


di Vice



Il 17 giugno di cinquantadue anni fa, 1970, si giocò allo stadio Azteca di Città del Messico, davanti ad oltre 100 mila spettatori, quella che è stata definita “la partita del secolo”: Italia-Germania 4-3, semifinale della Coppa Rimet, i mondiali di calcio. Gli azzurri entrarono nel mito con una prestazione al cardiopalmo dopo i 90′ regolamentari e i tempi supplementari, che si erano resi necessari per il pareggio (1-1) nei minuti di recupero, dell'”italo-tedesco” Karl-Heinz Schnellinger, quasi trecento gare nel nostro campionato di serie A, in quel momento giocatore del Milan con cui aveva conquistato Coppa dei Campioni, Coppa Intercontinentale, scudetto, Coppa delle Coppe, Coppa Italia. Un goal che aveva beffato Enrico Albertosi, neo campione d’Italia con il Cagliari di Gigi Riva.

Nell'immaginario collettivo, Italia-Germania 4-3 è stata sublimata e nutrita negli anni da una commedia di Umberto Marini da cui è stato poi tratto l'omonimo e più famoso film uscito nel 1990, pellicola beffarda, ironica, iconica, interpretata da Nancy Brilli, Massimo Ghini, Giuseppe Cederna, Fabrizio Bentivoglio, Giuseppe Battiston, attori destinati a diventare stelle della nuova "commedia all'italiana".

Ma Italia-Germania 4-3 è soprattutto il luogo della memoria di chi non si arrende, in cui si sono depositate le emozioni di più generazioni che s'avvicinavano a prendere confidenza con gli anni Settanta, anni formidabili pur con le loro contraddizioni ideologiche e non.

Italia-Germania 4-3 è antropologicamente il meglio degli italiani: è la storia di chi schiaffeggia la delusione (il pareggio di Schnellinger, dopo l'iniziale vantaggio di "Bonimba" Boninsegna), mettendo nuovamente la freccia del sorpasso con un terzino, con l'irruzione in area di rigore tedesca della "roccia", al secolo Tarcisio Burgnich, il numero 2 della grande Inter. E in vantaggio, subisce ancora il ritorno possente di Gerd Müller, centroavanti dal fisico improponibile eppure fortissimo quanto astuto, che proprio in quel 1970 conquistò il pallone d'Oro. Italia-Germania 4-3 è l'azzurro che crede nella vittoria con gli ultimi spiccioli di energia di "rombo di tuono" Gigi Riva, che con il suo "sinistro" finalmente liberato porta il Paese a uno sconvolgimento di passioni.

Italia-Germania 4-3 è la notte dell'impazzimento collettivo che si ritrova a un passo dall'infarto, quando Müller rimette in piedi la partita dei tedeschi con la complicità di Gianni Rivera, statua di sale a guardia del palo, che osserva la palla rotolare in rete.

Italia-Germania 4-3 ha l'eco delle urla di Albertosi, urla che scuotono il Golden boy del calcio italiano che dice al portiere, quasi in transe: "adesso mi tocca andare a fare gol, sennò non posso tornare in Italia". Rivera, confesserà anni dopo, vorrebbe dribblare tutti e piazzare la palla alle spalle del portiere Sepp Maier accompagnato dall'epica dell'eroe. Ma non può.



Tra il suo desiderio di riscatto e la realtà ci sono sei passaggi con il ticchettio del cronometro che fa loro da colonna sonora, e la palla che passa con lentezza studiata da un piede all'altro, da Rivera, a De Sisti, a Facchetti, per poi subire un'accelerazione improvvisa, il lampo di "Bonimba" che s'invola sulla fascia sinistra, inseguito passo dopo passo dal telecronista Rai Nando Martellini la cui voce, trepidante, sembra quella di un maestro che fa l'appello: "Boninsegna (pausa)... ha saltato (pausa)... Schulz, passaggio, Rivera, rete... Rivera... ancora 4 a 3". L'esplosione di gioia è accecante. La sensazione che il goal di Rivera abbia annichilito la Germania è collettiva, che il punteggio è fissato, eternizzabile.

Una pagina indimenticabile che a ricordarla rende persino meno amara la delusione di Germania-Italia 5 a 2 di martedì scorso. In fondo i ricordi, se presi a piccole dosi, possono anche aiutare a guardare la vita con filosofia. Del resto, nell'uno e nell'altro caso, è soltanto una partita di calcio. O no?


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