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Un libro per voi: "Populismo in rete", come comunica la politica

di Piera Egidi Bouchard

“Non solo le parole contano. Le parole si possono anche contare”. Questo l’assunto di un’analisi molto professionalmente, quanto sinteticamente condotta da tre giovani ricercatori sulla “comunicazione dei politici italiani”[1], prodotta in team multidisciplinari, nei quali scienziati sociali e politici, nonché informatici hanno lavorato “fianco a fianco”. La novità è duplice: l’argomento, il populismo, e poi il luogo della comunicazione, cioè i post dei politici su Facebook e Twitter (il secondo più colto e politicamente impegnato del primo, ma poi c’è anche Tik Tok, abitato dai giovanissimi, su cui nel ’22 sono “sbarcati goffamente” anche i politici), in un arco temporale che va dalle elezioni europee del 2019 a quelle politiche del 2022.

Su 60 milioni di italiani, 43 milioni “sono attivi sui social, e i politici sempre più spesso fanno ricorso ai social media come a uno strumento che permette di inviare comunicati stampa o agli elettori o anche ai propri leader o colleghi (nonché ai rivali)”. L’Italia è stata descritta come “la terra promessa del populismo”, e viene fatta una rapida rievocazione fin dalle elezioni del 2 giugno 1946, quando il "Fronte dell’Uomo Qualunque" (UQ), fondato dal giornalista Guglielmo Giannini, elesse trenta costituenti, alcuni filomonarchici, tutti alfieri dell’antipolitica, in polemica sia col fascismo, sia coi partiti antifascisti. Il concetto di populismo viene da questi studiosi inteso come “stile retorico”, connotato da tre componenti fondamentali: la centralità del popolo, l’antielitarismo (“che costituiscono i due poli dell’opposizione manichea tra il popolo virtuoso e l’élite corrotta”), e il ripristino dell’autorità popolare (“ridare potere al popolo”).

Il livello di populismo, nell’analisi delle parole usate, “varia in risposta a contingenze di natura economica, politica e sociale”, e spesso esprime emozioni negative come rabbia e ansia “che ben si prestano a fomentare incertezze e frustrazioni nell’elettorato”. Così ad esempio durante il primo lockdown: i partiti che ne fanno maggior uso sono M5S, FDI e Lega , ma nei momenti di forte instabilità l’accento populista “caratterizza tutti i partiti”, anche se “nel caso del PD e dei partiti di sinistra, l’uso frequente del linguaggio emotivo negativo si affianca a quello del linguaggio emotivo positivo”.

Statistiche e grafici mostrano queste affermazioni che andiamo via via estrapolando, tra cui interessante è ciò che riguarda gli argomenti trattati dai politici, tra cui emergono l‘antielitismo e la condanna delle diverse forme di violenza “argomenti con elevata probabilità di incontrare il consenso degli utenti e facilmente declinabili con un linguaggio emotivo, favorendo la costruzione di un comune sentire tra il politico e il lettore”, ma ci sono anche argomenti “come le vicissitudini dei VIP e gli eventi sportivi” che permettono al politico di atteggiarsi a ‘uomo comune’”

Un capitolo molto interessante riguarda le differenze di genere: ”Nonostante gli indiscussi miglioramenti sul piano numerico della rappresentanza, numerosi studi empirici continuano a evidenziare come l’arena politica non sia neutra dal punto di vista del genere”, mettendo in luce ad esempio, come le donne “debbano in media soddisfare aspettative e requisiti più elevati per essere candidate a una posizione elettiva nei partiti o nelle istituzioni". Dalle analisi si evince che le donne “sono attive online come i colleghi uomini e non occupano affatto posizioni più marginali nella rete”.

Ma come e di che cosa parlano? E qui si innesta lo studio statistico del vocabolario femminile, che è diverso e “indica la volontà delle donne di proporre prospettive e istanze proprie.” Le donne si occupano, come i loro colleghi maschi, di un’ampia varietà di argomenti, ma li affrontano in modo diverso: “Di fronte all’emergenza Covid-19, ad esempio, le donne enfatizzano il tema della sicurezza nelle scuole e della necessità di riprendere quanto prima possibile la didattica in presenza; i colleghi uomini sembrano più concentrati sull’andamento della campagna vaccinale. In merito all’immigrazione, si coglie una netta opposizione tra la dimensione del salvataggio e dell’accoglienza, che caratterizza il discorso femminile, e quella gestionale e securitaria, che caratterizza il discorso maschile”.

Inoltre non risultano statisticamente differenze nell’uso di parole legate alla rabbia, all’ansia, alla tristezza, tuttavia le donne sono “più propense degli uomini a connotare i loro post di ottimismo e sentimenti positivi. Sono invece meno propense ad utilizzare parole volgari e improperi". Si rileva come le donne utilizzino di più “parole appartenenti alla sfera semantica della famiglia e degli esseri umani, e meno parole appartenenti alla sfera semantica del denaro". La differenza, quindi, riguarda “la dimensione relazionale del linguaggio".

La seconda parte del libro pone l’interessante domanda: “Gli elettori abboccano all’amo?” Lasciamo alla curiosità di chi legge - ormai solleticata da queste premesse – di andarsi a studiare le risposte del saggio, così come a riflettere sulle Conclusioni, in cui si affrontano “Le dieci bugie che ti hanno detto sul populismo”, che terminano “parafrasando un famoso aforisma di Gaber: ‘Non ho paura del populista in sé, ma del populista in me’”. Dati gli ultimissimi risultati elettorali in Argentina e in Olanda, viene proprio da dire: “meditate gente, meditate!”... Anzi, donne e uomini, tutti quanti, meditiamo!


Note


[1] Andrea Ceron, Silvia Decadri, Fedra Negri, Populismo in rete - Un’analisi della comunicazione dei politici italiani, Carocci editore, Roma, 2023



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