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Un libro per voi: “L’ideologia del fascismo”

di Piera Egidi Bouchard


Impresa ardua riportare in poche righe il complesso ragionamento di questo prezioso saggio di Norberto Bobbio, ristampato ora dopo la prima edizione  del 1975[1]: cinquanta pagine appena, in cui ogni concetto è espresso e svolto in una sintesi talmente profonda e ricca di riferimenti ad autori e a scritti - impossibili da elencare qui nel dettaglio - che appare difficile riportarne il percorso: vale la pena leggerlo e meditarlo tutto. L’autore dedica la prima parte del saggio a mettere in rilievo il carattere comune delle correnti prefasciste, attraverso le “loro idee negative”, e la seconda parte alle diverse “immagini positive” che il fascismo ha dato di se stesso: “Ritengo che il fuoco verso cui si concentrano tutte le idee prefasciste è la democrazia – premette l’autore - prima ancora che l’antisocialismo (e tanto meno, l’antimarxismo)”. Perciò “L’antagonista per eccellenza è Jean Jacques Rousseau”, la cui opera “viene elevata a paradigma di tutti gli errori del secolo che attraverso la Rivoluzione francese ha visto il trionfo delle idee democratiche. ”Un vero “furore antiroussoiano”, esplicitato attraverso citazioni da Nietzsche a Spengler, a Maurras, alle quali rimando il lettore.


I cinque punti di vista della critica reazionaria alla democrazia

Bobbio distingue cinque punti di vista da cui può essere considerata la critica reazionaria alla democrazia: filosofico, storico, etico, sociologico, politico.

La democrazia è filosoficamente  “la figlia primogenita dell’illuminismo”: “Per gli idealisti e per gli storicisti la democrazia è da condannarsi perché (...) è un’inutile fuga dai problemi che la storia pone di volta in volta ai dominatori; per gli irrazionalisti, perché (...) è la causa principale della ‘crisi della civiltà’. Ciò che gli uni e gli altri peraltro criticano di comune accordo nello spirito democratico è l’egualitarismo: ancora una ragione per risalire a Rousseau.”

L’evento storico cui è legato l’avvento della democrazia è la rivoluzione francese. “Le correnti antidemocratiche inaugurano una nuova filosofia della storia, che contrappone al mito del progresso quello dei cicli storici, del sorgere e del decadere delle civiltà, e tendono a mostrare che l’epoca presente è un’epoca di decadenza, o di regresso. (...) Uno dei temi ricorrenti delle filosofie della crisi è in polemica con il cosiddetto ‘avvento delle masse’”. Una variante di questa concezione è il razzismo: “ogni civiltà comincia a decadere quando la razza che le ha dato origine comincia a corrompersi per la mescolanza di razze inferiori. Ne deriva un insegnamento di cui avrebbero fatto tesoro i nazisti: per arrestare la propria decadenza, una razza superiore deve mantenersi pura, eliminando, se necessario col ferro e col fuoco, le razze ritenute inferiori".

Il giudizio etico sulla democrazia “apre il discorso  intorno ai valori”, in due linee: innanzitutto, la polemica contro la decadenza dei valori dello spirito, delle virtù eroiche, (...) il rifiuto del compromesso, della negoziazione, il pluralismo delle opinioni nella coesistenza, il metodo del suffragio universale e, in una versione radicale, è “la morale degli schiavi” (i valori della rassegnazione, della compassione); il popolo è soltanto “massa”, e “la massa è anche imbelle: l’ultimo torto della democrazia è quello di essere pacifista". Un "torto" diventato drammaticamente attuale.

I principi della democrazia sono pure scientificamente falsi. “E’ una sfida contro la natura delle cose, un peccato contro la Scienza” un’utopia: “Elitismo e razzismo ebbero in comune lo spirito inegualitario e cercarono di trovarne le radici nella stessa natura umana”.

Tutte le critiche alla democrazia sin qui esaminate “sfociano nella critica politica, che ne è lo scopo finale, cioè nella critica del sistema politico cui la democrazia ha dato origine: “La democrazia è un vero e proprio ribaltamento di tutte le certezze su cui riposa l’ordine politico. La democrazia è in realtà anarchia”. Quindi, la critica si rivolge a tutti gli istituti in cui si è venuta storicamente realizzando, primo fra tutti il parlamento, ma anche  istituti sovranazionali come la Società delle Nazioni.

Dal punto di vista dell’economia, poi, c’è un’esaltazione del “primato della politica” sull’economia, la subordinazione degli interessi economici a quelli dello Stato, in una concezione interclassista che prende forma in una teoria nazionalistica degli interessi economici. Di qui la necessità dell’intervento dello Stato nell’economia, da cui deriva una polemica persistente contro il liberalismo.

Da tutte queste concezioni si riconosce la “dottrina del primato dell’azione”, “quintessenza dell’anti-illuminismo perenne che scorre, in maniera più o meno impetuosa, sotto quelle correnti (...) e procede di pari passo con il disprezzo degli intellettuali, che credono esageratamente, patologicamente nella battaglia delle idee".


La dittatura fu l'opposto di quella che pretese di essere

L’autore procede quindi a esaminare alcune “idee positive” della “dottrina” fascista: cioè “non solo quello che il fascismo non era, ma anche quello che era o pretendeva di essere come movimento del secolo”, in cui si possono distinguere (cito liberamente) “tre diverse immagini che il fascismo presentò di sé stesso”, le quali a loro volta rappresentano tre diversi gruppi di intellettuali che vi confluirono: i conservatori spaventati, provenienti dalla Destra storica e dal nazionalismo di destra, che chiedevano innanzitutto ordine, disciplina, ristabilimento dell’autorità dello Stato; gli ‘sradicati’, giovani che chiedevano un ordine nuovo, e furono i teorizzatori di un fascismo eversivo; e infine i piccolo-borghesi, che cercavano una mediazione tra conservazione e rivoluzione, che sola avrebbe potuto pacificare una società in preda a convulsioni mortali".  Della prima versione viene presentato il pensiero di Giovanni Gentile (il fascismo come forma superiore del liberalismo); della seconda, il fascismo squadristico, (che doveva essere la rivoluzione positiva, mentre quella bolscevica era la negativa); dalla terza, che finì per prevalere, promana l’idea dello stato corporativo, (in cui si ottiene la conciliazione e la collaborazione di opposti interessi e classi, in nome dell’interesse superiore della Nazione), il cui teorico fu Ugo Spirito.

Ma - osserva Bobbio nel capitolo conclusivo - il fascismo fu proprio l’opposto di quel che pretese di essere. Alla prima immagine, “corrisponde l‘interpretazione del fascismo come negazione totale del liberalismo, cioè come totalitarismo”. Alla seconda, corrisponde l’immagine non della rivoluzione, ma della reazione. Alla terza, l’immagine “ufficiale” come sintesi, corrispose “la negazione radicale a un tempo tanto del liberalismo quanto del socialismo".

In definitiva, da quanto esaminato sopra, scrive nelle sua ultima pagina l’autore: “non può stupire che l’interpretazione del fascismo come antitesi (...) della democrazia - se per democrazia s’intende un regime che avrebbe dovuto accogliere le esigenze del socialismo in campo economico senza distruggere le conquiste del liberalismo in campo politico - sia diventata l’ideologia ufficiale della Resistenza che (...) nelle tavole della Costituzione gettò le basi di un regime diametralmente opposto che avrebbe dovuto porsi l ‘obiettivo di promuovere l’avanzata del socialismo attraverso la libertà”.

Le tre introduzioni di questo saggio sviluppano varie importanti argomentazioni a cui rimando il lettore, ma qui voglio condividere l’interrogativo di Bianca Cimiotta Lami, con cui ci interroghiamo anche noi: “Cosa avrebbe oggi da dire Norberto Bobbio e quali sarebbero state le analisi e le  riflessioni dell’intellettuale politico che ha riflettuto su questa democrazia italiana imperfetta e deficitaria che ha visto nascere e prendere varie forme; cosa avrebbe da dire sullo stato attuale di salute di questo Paese, dell’Europa e del mondo globale in guerra?”.

 

Note

[1] Norberto Bobbio,, Biblion Edizioni, 2023, prefazioni di Bianca Cimiotti Lami, Antonio Parisella e Pietro Polito, pubblicato col contributo della Associazioni Partigiane (F.I.A.P.), del Museo storico della Liberazione in Roma e del Centro studi Piero Gobetti di Torino.

 

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