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Test psicoattitudinali: la lunga storia del "Minnesota", l'MMPI

di Isabella Giulia Franzoi*


La bagarre verbale si è scatenato da alcuni giorni, da quando il governo Meloni ha dato luce verde dal 2026 ai test psicoattitudinali per la carriera in magistratura. E la parola "Minnesota", con cui è conosciuto lo strumento utilizzato per i test di valutazione già per altre categorie, è entrata come un fulmine nel lessico quotidiano, diventando ad un tempo un altro dei tanti elementi divisivi tra i pro e i contro che dominano la nostra politica.

Ma che cos'è il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI; Hathaway, McKinley, 1940,1942)


L'MMPI è considerato lo strumento psicodiagnostico più diffuso e maggiormente utilizzato per la valutazione dei tratti di personalità nella pratica psicologico-clinica e psichiatrica, ma altresì in ambiti applicativi quali, per esempio, i contesti giudiziari, militari e lavorativi. Il test consiste in una lista ampia di domande autosomministrate alle quali l’intervistato può rispondere “vero” o “falso”. Numerosi lavori scientifici hanno attribuito la vasta diffusione del questionario alle caratteristiche strutturali dello strumento stesso in termini di facilità di somministrazione, verifica dei punteggi ottenuti tramite apposite scale e disponibilità di dati normativi di riferimento con cui confrontare i risultati.

Il test fu ideato agli inizi degli anni Quaranta del ‘900 da McKinley e Hathaway con lo scopo di realizzare uno strumento che potesse indagare un’ampia campionatura di comportamenti rilevanti a livello psicopatologico, attraverso domande formulate con un linguaggio che fosse comprensibile alla maggior parte delle persone, indipendentemente dal livello di scolarità. A partire dall’analisi di oltre 1000 quesiti tratti da manuali di psicopatologia, venne ricavato un pool di 566 brevi domande che riguardavano atteggiamenti, comportamenti, emozioni e alterazioni psicosomatiche. Col passare degli anni si rese sempre più necessaria una ristrutturazione dello strumento tale da poter migliorare la descrizione degli aspetti specifici della personalità all’interno dell’evoluzione del contesto sociale e culturale e che, allo stesso tempo, contemplasse l’utilizzo di un linguaggio maggiormente inclusivo nei confronti di individui di differente genere, religione ed etnia e, dunque, rispecchiasse un campione maggiormente rappresentativo della popolazione americana.

Nel 1989 negli Stati Uniti fu pubblicata una nuova versione del test: l’MMPI-2 (il cui adattamento italiano è stato curato da Paolo Pancheri e Saulo Sirigatti), composto da 567 domande. La versione aggiornata del test mantenne le scale originali, a cui ne sono state aggiunte nuove per rendere più agevole la possibilità di evidenziare i tentativi di alterare i risultati da parte dell’intervistato. Nonostante il set di domande sia rimasto pressoché il medesimo, l’intensa attività di ricerca basata sui costanti sviluppi teorici ha richiesto un costante aggiornamento degli indicatori clinici del test. Nel 2008 è stata pubblicata una versione revisionata e ristrutturata dello strumento, l’MMPI-2-RF (Restructured Form) (Ben-Porath & Tellegen, 2008; adattamento italiano a cura di Saulo Sirigatti e Silvia Casale) composto da 338 domande.[1]

L’impiego del questionario non consente soltanto la possibilità di indagare differenti tratti personologici secondo una prospettiva nosografica, ma può offrire uno sguardo che meglio intercetta una dimensione soggettiva, dinamica e peculiare del funzionamento mentale individuale attraverso informazioni ricavabili dall’osservazione del contesto nel quale si esprime il comportamento dell’intervistato. Questo ha favorito un impiego delle diverse versioni del MMPI su larga scala anche in Italia, rendendolo uno strumento noto anche ai non addetti ai lavori.


*Ricercatrice Università di Torino


Note

[1] Sull'argomento rimandiamo anche a: Antonella Granieri, Teoria e pratica del MMPI-2. Lettura clinica di un test di personalità, Frilli Editori, 2007; Antonella Granieri, Test di personalità: quantità e qualità, Utet, 2010

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