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  • Galeno

"Salario minimo: è soltanto un passo piccolo piccolo per ridurre le disuguaglianze!"

di Galeno

Leggo la discussione sul salario minimo e faccio fatica a capire dove stia il problema. Sarò un po’ all’antica (sono nato a Pergamo nel II secolo e morto a Roma nel III), ma mi sembra che la soluzione sia semplicissima. So dal mio amico Pietro, vostro contemporaneo che vive a Torino, che il dipendente di una cooperativa di lavoro guadagna tra i 600 e i 700 euro al mese. Con 4,3 settimane al mese per 40 ore sono 3,5-4 euro all’ora. Fissare 9 come minimo, ma siete matti?

La mia modesta proposta è molto più semplice di quella di quel tale Swift che nel 1729 propose[1] di dare i bambini dei poveri in pasto ai ricchi e in ogni caso faceva solo dell’ironia: reintrodurre la schiavitù. Inumano, inaccettabile, atroce? Assolutamente no. Ai miei tempi, il padrone badava al suo schiavo, faceva parte del suo patrimonio, aveva speso dei soldi per comperarlo, per darlo in pasto alle belve doveva persino ottenere l’autorizzazione di un magistrato…

Va bene, ho capito, la proposta non piace. Allora facciamo un po’ di conti. Quando il mio amico Pietro era giovane il biglietto del tram dell'Atm costava 50 lire, ora vi avviate a pagare 2 euro al GTT se abitate a Torino. Circa 80 volte! Cerchiamo di capire che cosa è successo, considerando il 1968 come punto di partenza, quando Pietro ha avuto il primo stipendio regolare con contributi e tutto. Considerando l’andamento dei prezzi[2] da allora a oggi, le 50 lire diventano 1.119, cioè 0,58 euro, con un aumento di un po’ più i 22 volte. Come si arriva a 80? Con il fatto che le paghe dei lavoratori qualificati sono diventate un po’ più vicine tra loro e così ogni passeggero, per retribuire l’autista che conduce il mezzo, il manutentore che lo tiene in servizio ecc. ecc., deve spendere una quota del suo stipendio molto più alta di allora. (Posso riproporre la schiavitù? No? Va be’).

In una società di uguali ottenere un servizio da un’altra persona comporta un sacrifico maggiore. Via via che le disuguaglianze sono corrette, i medio-abbienti lo sono un po’ di meno e i poveri un po’ meno poveri. I veri ricchi giocano in un campionato a sé. Anche lo Stato può fare la sua parte: ad esempio i trasporti negli anni ’60 e ’70 erano ben sovvenzionati, scaricando una parte del costo sulla fiscalità progressiva. Poi avete dato retta[3] a un certo Reagan, presidente degli Usa e a una certa Thatcher, Primo ministro (allora rigorosamente al maschile) dell'Union Jack, immaginando che ridurre le tasse ai ricchi avrebbe aumentato le entrate pubbliche, ma… non è andata così.

Se il prezzo del lavoro aumenta molto si introduce l’automazione, ma le macchine sono solo lavoro immagazzinato, quello che è servito per costruirle, e valgono per quel motivo. Sempre una ragione di uguaglianza. Restano esclusi da ogni riequilibrio i lavoratori meno qualificati, i nuovi veri schiavi della vostra società che, proprio grazie a loro, è invece così favorevole per alcuni strati della popolazione.

Infine i dati: mi riferiscono gli amici del XXI secolo, tra cui un certo Giorgio, che sul numero di persone con paghe da vergogna non c’è accordo: non si sa bene quante siano, dalle decine di migliaia alle centinaia di migliaia o ai milioni. Avete un Ministero del lavoro e delle politiche sociali le cui strutture periferiche[4] sono via via più rarefatte: ecco l’effetto, con l’impossibilità di distinguere tra lavoratori regolari, compresi gli imprenditori a capo delle loro imprese, finte o vere partite IVA, precari di ogni tipo, aree del lavoro irregolare. Per ridurre le disuguaglianze sono dati cruciali.

Avrete capito che mi piacciono i paradossi. Sono del tutto a favore del salario minimo: un piccolo passo per ridurre le disuguaglianze, purché non entri a far parte della raccolta di grida che un certo Manzoni elenca nei suoi Promessi sposi.


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