Nuovo governo e studio della storia
Aggiornamento: 21 ott 2022
di Maria Grazia Cavallo
Quando pensi di avere tutte le risposte, la Vita ti cambia tutte le domande. (C. Schultz)
C’è sicuramente del vero in questo aforisma. Lo sperimentiamo ogni giorno attraverso le nostre vicende personali e ci viene naturale riproporlo anche in prospettiva del nuovo governo prossimo a decollare (a quasi un mese dalle elezioni), dopo le consultazioni al Quirinale. Sappiamo che è bene non sentirsi mai “troppo al sicuro”, cioè arrivati ad un punto che immaginiamo non più tangibile da rovesci, irreversibile al peggio. L’esperienza ci dice che le cose non sempre stanno così. Sia nelle nostre storie, sia nella Storia dei Popoli, il “salto all’indietro” è un rischio possibile, che dovremmo semmai saper prevedere, per poterlo prevenire e gestire, di conseguenza.
E così: anche se nel tempo ci siamo spinti in alto, scalando montagne di ostacoli, di limiti, di pregiudizi. Anche se abbiamo lottato per passione, per convinzione, per ambizione o per necessità o sulla spinta di bisogni, istanze e diritti per cui valesse la pena d’impegnarsi.
Ma quante volte ci si è profilato il rischio di scivolare rovinosamente in basso, e quanto è stato difficile risalire, anche a costo di farsi sanguinare le mani pur di riprendere il percorso verso i nostri obiettivi? Questo c’insegna la Storia: che i gradi del progresso sociale, i diritti umani – diversamente dalle conquiste scientifiche, che procedono per accumulazione dei saperi nuovi e scarto di quanto scientificamente superato – non costituiscono approdi raggiunti per sempre, punti irrevocabili non più negoziabili.
Per dirla con le parole dell'ex procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino Paolo Borgna[1] "chi l’avrebbe detto, all’epoca del sogno americano e di Kennedy, che decenni dopo ci sarebbe stato il dramma di Guantanamo? Cosa direbbero, i "Visionari" di Ventotene, del disorientamento di questa Europa attraversata da contrasti egoistici, che nel corso degli anni ha sottovalutato i germi del dramma che stavano fermentando ai suoi confini? E noi oggi, disorientati dall’orrenda voragine di questa guerra - peraltro non la prima, ma la più devastante anche in prospettiva - avremmo mai immaginato (o potuto immaginare, verrebbe da dire) scenari così angoscianti?
Viene lecito domandarsi: in quale momento ci siamo “distratti”? Eppure la Storia si ripete e le radici dei drammi di oggi sono ramificate nel lontano e nel profondo. Per estirparle ed agire, stando all’altezza della Buona Politica, non è sufficiente essere pratici e performanti nel “presente”; né dimostrarsi efficienti nel gestire di volta in volta le multiformi problematiche del contingente; né sapersi districare nelle situazioni emergenziali.
Se vogliamo praticare ed avere Buona Politica non possiamo permetterci distrazioni nei confronti della Storia. Perché prima o poi - come ci insegna - essa presenterebbe il conto dei difetti di comprensione, di lungimiranza, di cultura umanistica che hanno compromesso o distorto i risultati dell’azione. L’azione viene dopo il pensiero ed il pensiero si fonda sulla conoscenza: non vi può essere azione politica senza consapevolezza della necessità, dell’assoluta indispensabilità del “sapere” come pre-condizione dell’impegno politico.
Dai nostri rappresentanti politici, a tutti i livelli, dobbiamo pretendere una vasta e seria conoscenza e competenza : saperi adeguati ai ruoli ed ai compiti che andranno ad assumersi. E chiediamo che conoscano la Storia, intesa nel senso più ampio, comprendente la geopolitica. E - tenendo presente l’insuperata visione di Marx sulla strutturazione delle società - che conoscano i fondamentali dell’economia. Dal nostro sistema scolastico dobbiamo pretendere un serio impegno ad ampliare lo studio della Storia, affinché le conoscenze degli studenti consentano ai giovani di stare nel mondo attuale, e di saperlo comprendere, con la consapevolezza delle radici lontane e del proprio passato prossimo.
La preparazione degli studenti, anche se maturati nei migliori licei, si ferma a poco oltre la Seconda guerra mondiale, nonostante l’impegno di docenti e discenti. Per fare qualche esempio: quanti dei nostri giovani sanno della guerra in Vietnam, della crisi dei missili a Cuba, della Primavera di Praga , delle lotte del ‘68, di Gorbaciov, delle antiche e attuali colonizzazioni, delle depredazioni dell’Africa, delle cause dei conflitti in medio ed estremo oriente; degli errori di politica internazionale che hanno generato altre guerre in varie parti del mondo?
E che cosa sanno del drammatico periodo del terrorismo internazionale che devastò l’Europa negli anni 70, delle lotte operaie; del maledetto stragismo nero che attraversò gli anni ’70 in Italia, del sequestro e dell’uccisione del presidente della Democrazia Aldo Moro, non solo e non ultimo assassinato in quegli anni? Sarebbe importante, dunque, pensare un progetto di educazione permanente che contempli l'aggiornamento costante dello studio della Storia anche al di là dei confini dei percorsi scolastici ordinari e che prosegua anche durante la formazione universitaria, come materia curriculare.
[1] Paolo Borgna, Difesa degli avvocati scatta da un pubblico accusatore, Editore Laterza
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