Natale 2023. L'augurio ai nostri lettori, amici, sostenitori e collaboratori
- Michele Ruggiero
- 24 dic 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 25 dic 2024
di Michele Ruggiero

Un anno fa, per le imminenti festività natalizie, scrivemmo nella nostra cartolina di augurio che auspicavamo la speranza. La stessa speranza che si ripropone oggi. Purtroppo. Perché nulla è cambiato. Anzi, è il contrario. Ma, testardi, ci affidiamo ancora alla speranza cui riconosciamo il valore della suggestione propositiva, quando è intesa come grande moto collettivo per (ri)accendere la luce ed illuminare quelle sempre più numerose parti oscure e torbide in cui è precipitata l'umanità. Che non sono soltanto quelle schiacciate dall'incubo della guerra che dissangua gli esseri viventi e offende la Terra, la nostra casa comune, dall'Ucraina al Vicino oriente, ma anche le nostre, in cui dichiariamo con orgoglio che il benessere e la pace sono oggettivamente condizione dominante e quotidiana di vita. Ma sappiamo che non è più così.
Papa Francesco ha bollato quanto avviene a più latitudini e in più continenti come "la terza guerra mondiale che si combatte a pezzi". E a pezzi, ci permettiamo sommessamente di aggiungere al pensiero del Pontefice, si sta smontando anche la nostra coscienza critica, la nostra capacità di reazione, di dissenso, di contestazione, di ripulsa, di rifiuto ad accettare le orribili brutture che sono spacciate come necessità.
Necessità per chi e per migliorare l'esistenza di chi mai specificate. Il che favorisce il sospetto che esse corrispondano più alle vanità personali e agli interessi materiali di gruppi e comitati d'affari, che al progresso sociale, culturale e morale della comunità che si dice di rappresentare. La politica di ridimensionamento dell'impegno pubblico verso l'istruzione e la sanità, capisaldi di un modello di welfare attraverso cui si legge l'unità e l'identità di un paese nelle sue diverse caratteristiche socio-economiche, insieme con la battaglia contro le diseguaglianze, ne è la prova e diventa la cartina di tornasole di un collaterale progetto che sempre "a pezzi" mira a smontare la visione che ha animato i nostri Padri costituenti, all'indomani del crollo del fascismo e della nascita dell'istituzione repubblicana.
A cominciare dall'articolo 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Un articolo sempre più e deliberatamente smontato "a pezzi", amputandone con ogni mezzo quegli elementi, dalla sicurezza dell'ambiente agli orari, ai salari, ai contratti, al sommerso, che rimandano al profondo significato etico che assume la parola lavoro per la dignità di ogni cittadino. Una violazione che rischia di trasformare l'articolo 4 in un mero esercizio dialettico: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Lavoro e pace. Il binomio ci porta all'articolo 11, fondamentale per la nostra democrazia, per un paese uscito distrutto da una guerra d'aggressione: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Promuove e favorisce? Viene naturale fare allora i confronti tra l'Italia di ieri, che promuoveva e favoriva con autorevolezza processi di pace e di integrazione tra i popoli, grazie all'azione coraggiosa e di raffinata intelligenza dei suoi statisti migliori, e quella di oggi, maldestramente e banalmente ripetitiva e conservativa nelle sue locuzioni latine, che se applicate fino in fondo riporterebbero l'umanità all'età della pietra, e arroccata a politiche internazionali che nella sostanza riducono "a pezzi" e mandano in pezzi quella stessa sovranità del popolo cui si richiamano i nostri governanti.
Dunque, la speranza per questo Natale è quella di liberarci dall'incubo dell'afasia in cui si vuole far precipitare le masse e di ridare potere e senso alla parola come strumento pacifico di trasformazione e di cambiamento, rifuggendo dal silenzio che ci sovrasta quando tutto intorno a noi è violenza, morte e distruzione.
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