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La pace: una ricerca dal basso, come fu per il Moratorium Day

di Marco Travaglini


I venti di guerra soffiano forte nell’Europa dell’Est, il Vicino e Medio oriente sono sempre una polveriera e decine di conflitti, spesso dimenticati e sottratti all’attenzione, insanguinano il mondo con una escalation della violenza che coinvolge civili innocenti e continua ad alimentare una crisi umanitaria di enormi proporzioni. I ripetuti appelli di Papa Francesco (“la guerra porta distruzione e moltiplica le sofferenze delle popolazioni. Speranza e progresso vengono solo da scelte di pace”) pare siano inascoltati, quasi soffocati dal crepitio delle armi e dal fragore dei bombardamenti. C’è chi sostiene che a tanta violenza non si può che rispondere con la violenza. Ma è davvero così?

Non si tratta nemmeno di essere pacifisti, basta guardare ai fatti. L’Isis, del quale non si parla più ma non è sparito nel nulla, non è nato forse da una guerra, quell’invasione dell’Iraq che ha gettato il Medio oriente nel caos? E non è stato poi aiutato dalla guerra in Siria e dalla dissoluzione in una giungla tribale della Libia? Le guerre, tutte le guerre, lasciano il mondo peggiore. La guerra è un demone, la violenza è una malattia. Con la guerra i più deboli, quella che un tempo si definiva “la povera gente”, hanno tutto da perdere mentre alcuni si arricchiscono. E le conseguenze sono gran parte dei flussi di rifugiati e profughi, dei milioni di persone in fuga che arrivano ai confini della Turchia e del Libano, dalle coste dei paesi del nord Africa e da lì, cercano di raggiungere l’Europa. Sulle rotte dell’est, come quella balcanica o attraverso il canale di Sicilia. Ciò che impressiona è che di fronte alle guerre, l’opinione pubblica è come assuefatta, inerte.

Chi parla di pace e trattative viene visto con sospetto e astio. Eppure servirebbe una giornata come il Moratorium day che scosse l’America il 15 ottobre del 1969. Era un mercoledì e milioni di persone, in larga parte giovani, sfilarono per le principali città degli Stati Uniti per chiedere di porre fine alla guerra in Vietnam, uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi del Novecento, dagli anni Sessanta fino al 1975. Si trattò della prima grande manifestazione per la pace nella storia, da cui trassero spunto movimenti pacifisti di tutto il mondo. Cuore della manifestazione fu la città di New York, dove decine di migliaia di manifestanti marciarono intonando slogan di protesta e canzoni contro la guerra, come quelle di Bob Dylan e John Lennon.

Sarà utopia ma oggi serve una spinta analoga dal basso, potente. Del resto, lo diceva già Francesco d’Assisi: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.


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