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L’inizio della decadenza: “meglio controllare che assumersi responsabilità...”

Aggiornamento: 12 set 2022


di Emanuele Davide Ruffino e Chiara Laura Riccardo


È capitato a tutti, anche ai migliori professionisti di, anziché risolvere un problema, sollevare questioni più o meno inerenti, per evitarlo. Forse trattasi di un residuo del fenomeno del “primo della classe” che per rimanere tale escogita qualche sotterfugio, oppure siamo in un sistema in cui è premiante evitare le responsabilità per svolgere la funzione di controllore o meglio ancora di accusatore.

Diventa inevitabile dunque chiedersi fino a che punto il sistema può reggere con tutti che vogliono controllare e più nessuno disposto ad assumersi delle responsabilità. Il problema si pone sia in termini economico-sociali che individuali in svariati contesti: dai Pronto soccorso alle Forze dell’Ordine, ma oggi anche nell’ambito del volontariato, sempre più oggetto di angherie di ogni genere. Sembra che, a vincere, in questo strano gioco, sia il non avere regole, all’insegna del “il migliore è colui che non gioca”.


Siamo in un’epoca costellata da problemi (politici, economici, sociali, sanitarie ecc…) e infarcita di numerosi sedicenti “risolutori” di problemi e da indifferenti. Gino Strada affermava che “promettere costa poco, se poi non si mantiene l'impegno. E non farlo? Costa ancor meno, praticamente niente, basta girarsi dall'altra parte. Una promessa è un impegno, è il mettersi ancora in corsa, è il non sedersi su quel che si è fatto: dà nuove responsabilità, obbliga a cercare, a trovare nuove energie”.


Responsabilità e disponibilità in declino

La partecipazione alla vita pubblica dovrebbe essere un privilegio per chi ricopre un ruolo di prestigio. Spesso però l’interrogativo che affiora è il seguente: perché una persona che può accedere a un lavoro tranquillo e appagante dovrebbe assumere un ruolo di responsabilità, ben sapendo che ciò comporta la possibilità di vedersi appioppare avvisi di garanzia, essere disprezzato dalla stessa collettività di cui si fa parte, rinunciare a una vita propria perché occorre essere in assoluta dedizione verso chi pretende da loro massima disponibilità?


Il risultato è che, anziché lavorare per una nuova classe dirigente, ci si accontenta di trovare qualche persona che accetta di ricoprire il ruolo. Ciò succede in politica (in alcuni piccoli comuni non si trova neanche un numero sufficiente di candidati per le elezioni locali), nei Pronto soccorso (dove aumentano esponenzialmente le aggressioni violente), nelle organizzazioni di volontariato.

Nel ricercare le ragioni che portano al rifiuto di accollarsi prese di responsabilità, sembra esserci la sensazione che il semplice ricoprire una carica non permetta più d’influire concretamente sulle reali situazioni.


Il potere sembra cioè declinarsi in una miriade di rivoli che impediscono il formarsi di una leadership autorevole. Anzi, proprio la possibilità che si possa individuare un punto di riferimento, induce il formarsi di coalizioni per contrastarlo, portando poi a forme di immobilismo. L’Italia ha già vissuto un simile periodo all’epoca dei Comuni e del Rinascimento che, se da un lato hanno ritardato il formarsi di un processo unitario, dall’altro hanno permesso di generare un fervido periodo senza pari nella storia delle arti e delle scienze.


Lo sviluppo del benessere sociale

Per poter funzionare, ogni sistema necessita però di energie endogene che stimolino i singoli attori a operare verso obiettivi di alto profilo. Senza confronti competitivi serrati tra il maggior numero possibile di persone e di gruppi, che s’innescano introducendo i meccanismi che caratterizzano una società governata dal libero mercato, il sistema progredirebbe a ritmi di sviluppo decisamente troppo lenti, perché verrebbe a mancare l'energia necessaria affinché le forze presenti si possano muovere verso il raggiungimento di nuovi obiettivi, prima dei loro concorrenti/antagonisti.


Per affrontare i problemi, occorre formalizzare compiutamente le necessità di un confronto/analisi tra “mix quali-quantitativo delle risorse impegnate e l’apprezzamento economico-sociale dei benefici ottenuti”, ricordandosi che il benessere sociale non si “esaurisce” nel momento in cui viene prestato, ma si sviluppa nel lungo periodo, fino ad interessare le prossime generazioni.


La predisposizione di apposite analisi econometriche, pur non fornendo valori assoluti e senza la presunzione di conoscere il futuro, può almeno offrire la possibilità di ordinare le singole perfomancesin base all'efficienza dei processi posti in essere e, a livello macro‑economico, nell'auspicabile previsione di una maggiore integrazione internazionale, permettere ai singoli sistemi nazionali, regionali, o locali, di procedere a "velocità compatibili", con continue opportunità di confronto sul livello del raggiungimento degli obiettivi.

L'esortazione di Gino Strada

I regimi democratici risolvono il problema facendo scegliere periodicamente le soluzioni al corpo elettorale. Anzi, alcune componenti pongono come essenziale la possibilità di scorporare le opportunità di scelta (con referendum, elezioni locali, consultazioni online ecc.) per far partecipare le forze sociali, alla gestione dei processi decisionali che li coinvolgono. Processo ovviamente in continua evoluzione dovendosi bilanciare tra la necessità di rendere la partecipazione il più possibile universale e approfondire la specificità dei problemi. Ma per attivare questi circuiti occorrono persone responsabili, che tendono sempre più a mancare.

Servono persone in grado di aprire lo sguardo verso quello che Gino Strada sosteneva essere il motore del vivere sociale e politico, i diritti umani, affermando che purtroppo “a oltre settant’anni dalla dichiarazione universale dei diritti umani, nessun governo, nessuno Stato del pianeta ha costruito realmente quei diritti che si era impegnato a realizzare: cibo, cure mediche, istruzione, un posto sicuro dove stare. Neppure questo è stato fatto, indebolendo le fondamenta della nostra vita insieme, sostituendo alla libertà il sopruso, alla giustizia la più spietata e violenta aggressione, alla pace la guerra”.


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