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Kiev e Mosca ieri: una storia d’amore raccontata da Julia Kissina

di Vice|

Leggi l’articolo completo | Download | “Nel passato il tempo non si muove, non vive, nel passato il tempo non è un film ma una fotografia. E se il tempo è una fotografia, vuol dire che è piatto. E se è piatto, ci puoi cucire un cappotto”.

Si chiude così nella surreale inquietudine di “Madame la Dostoevskaja” il romanzo di Julia Kissina che ha per sottotitolo “Una storia d’amore e poesia a Mosca” (titolo originale: Elephantinas Moskauer Jahre), edito nel 2020 in Italia da Scritturapura, dall’autrice dato alle stampe nel 2016. Il libro ritorna di stretta attualità e d’interesse in questi giorni drammatici per l’Ucraina, per l’Europa, per la stessa Russia, perché è una sorta di diario, pungente, divertente, autoironico, scanzonato, grottesco, che si distende proprio come le pieghe ondulate tipiche di un cappotto, scritto da chi nata a Kiev è vissuta a Mosca, prima di emigrare in Germania nel 1990. Nelle pagine Julia Kissina non esita a romanzare la sua vita, mettendo in scena il suo doppio e il suo essere ucraina, una bellezza che non mette in ombra però l’essere cittadina sovietica, sullo sfondo di una Ucraina e una Russia “ancora unite nel sacro vincolo del matrimonio”. È il passato, appunto, che ritorna in pagine in cui Kiev, oggi sotto i bombardamenti, è descritta come “la città più bella al mondo, più di Parigi, di Roma, più bella di una festa, più di un sogno”. Un sogno diventato incubo nel 2022 per la violenza scatenata da Mosca, la città verso cui la protagonista del libro, la piccola “madame la Dostoevskaja”, Elephantina per gli amici, smania di fuggire, perché “lì si sarebbe compiuto il mistero della nascita di una nuova ed elettrizzante vita”. E realizzato il sogno, attimi su attimi, Elephantina scopre che Mosca l’ha rapita “con quel suo parlare spigoloso e gracchiante, con l’insolenza, la boria e la maleducazione. È praticamente impossibile immaginare un’altra città così ostile alle buone maniere. Ho imparato ad amarla così questa città senza regole, anzi no, con una sola regola: vivere come galli da combattimento. E così cominciai a comportarmi come un gallo da combattimento.” Il combattimento di Elephantina si apre come un almanacco, con il dito puntato sul 1981: l’anno di Ronald Reagan presidente degli Stati Uniti, in cui americani accusarono l’Unione Sovietica di terrorismo internazionale, mentre l’URSS dichiarava illegale il sindacato polacco di Solidarność; l’anno dei primi casi di Aids, del primo Pc immesso sul mercato dall’IBM e della morte del presidente egiziano Sadat, assassinato dagli islamici. In una rutilante sequenza di avvenimenti e citazione di illustri personaggi, tra cui spicca anche Enrico Berlinguer, il segretario del partito comunista italiano morto nel giugno del 1984, l’attenzione di Elephantina cade sempre come una carezza amorevole sulla capitale russa. Ma l’ostilità che lei ha rovesciato come un guanto, sappiamo che oggi non si trasforma in ammirazione. Anzi. Sembra esistere una sorta di guerra nella guerra finalizzata a demonizzare tutto ciò che è russo: dall’arte alla letteratura, dal cinema allo sport, in una discesa agli inferi che già opprime gli animi e divide, con un’ostilità preconcetta e ammorbante verso il popolo russo da cui potremmo rischiare di non liberarci neppure a guerra finita. Julia Kissina, è nata nel 1966 a Kiev, in Ucraina, da una famiglia ebrea e ha studiato scrittura drammatica presso l’Istituto di cinematografia Gerasimov di Mosca, noto anche come VGIK. In Germania si è successivamente laureata all’Accademia di Belle Arti di Monacofrase

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