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In che situazione siamo tra pandemia, guerra e gestione sanitaria?

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |


Quando scoppia una crisi, l’anello debole è inevitabilmente rappresentato dalla sanità, obbligata ad occuparsi dei soggetti più fragili ed indifesi, quali sono i malati. Purtroppo la realtà di questi tempi offre tragiche conferme e richiede grande impegno da parte dei medici e del personale sanitario per cercare di alleviare le sofferenze. Quello che sta emergendo però, è come all’eroismo dei singoli occorra sempre più predisporre un sistema organizzato ed articolato che sappia affrontare le situazioni, definendo le priorità e perseguendole con determinazione.

Si può affermare che la sanità moderna nacque con il senso civico dimostrato da Florence Nightingale, la signora con la lanterna, in occasione della guerra in Crimea. Colpita dalle notizie che provenivano dalle condizioni delle truppe ammassate nell’assedio di Sebastopoli (dove l’esercito russo si opponeva ad una coalizione che vedeva impegnato anche il piccolo Piemonte, con il suo esercito di 18 mila uomini al comando del generale Alfonso La Marmora), l’allora sovrintendente all’Institute for the Care of Sick Gentlewomen si recò il 21 ottobre 1854 con 38 infermiere volontarie all’ospedale militare allestito nella caserma di Scutari. Come in molte altre condizioni che la storia ricorda, più che in battaglia sono state le condizioni igienico sanitarie a mietere vittime, causa l’esplosione di infezioni di massa, tra cui il colera. Dalla Nightingale alla Croce rossa

Sono trascorsi 168 anni, e la situazione sulle sponde del mar Nero, si ripropone con altrettanta drammaticità: le disumane condizioni igieniche che portarono ad elaborare le teorie scientifico-organizzative della Nightingale si ripresentano in modo vergognoso. Ai progressi perseguiti dal mondo scientifico, non ha però fatto riscontro altrettanta evoluzione degli assetti organizzativi e non solo perché le barbarie della situazione portano ancora a sparare sui locali della Croce Rossa e sulle bandiere bianche, ma perché la macchina organizzativa degli aiuti è ancora, in gran parte, affidata alla volontà dei singoli. In Ucraina bisogna dribblare le bombe e le delegazioni della Croce Rossa trovano difficoltà inaudite nello svolgere la loro missione, ma non solo sul territorio. Fakenews e insinuazioni colpiscono l’istituzione, obbligandola ad un ferreo riserbo (e pochissime dichiarazioni pubbliche). Colpiscono quindi le denunce sulla presenza di numerose campagne di disinformazione che rischiano di danneggiarne la reputazione e la proverbiale neutralità. Emblematico è l’aver fatto circolare sui social network una fotografia che mostrava, Peter Maurer, il presidente della Croce Rossa internazionale mentre salutava affabilmente il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, nel corso di una sua visita a Mosca, a sottendere che l’organizzazione stesse parteggiando per la Russia. La realtà è che la Croce Rossa cerca sempre la via diplomatica, infatti, nei giorni precedenti Maurer era stato a Kiev, dove aveva incontrato, altrettanto affabilmente i rappresentanti del governo ucraino. Il mantenere l’istituzione sopra le parti, in posizione di neutralità, è un valore che non va sprecato se si vuole portare un minimo di umanità nel posti più martoriati della guerra e per questo i fraintendimenti e l’instillare dubbi è più pericoloso di quanto si possa pensare. La bulimia della nostra società

La globalizzazione e la virulenza della pandemia hanno cambiato i termini del problema: quello che succede a migliaia di chilometri da noi non può lasciare indifferenti sia per ragioni umanitarie che sanitarie. I malati che trovano ricovero nei nostri ospedali sono la punta dell’iceberg dal potenziale ancora sconosciuto e difficile da determinare. Non ci si deve rassegnare, o peggio abituare, a vedere cadaveri abbandonati sulle strade: quella in Ucraina è la guerra più documentata, ma anche quella più mistificata. Se si può sindacare sulle responsabilità dei singoli eventi, non si può ignorare l’impatto che questi possono avere sulla salute di milioni di persone. La tragedia umanitaria richiederà un impegno del mondo sanitario oltre misura, non solo come slancio umanitario ma capacità organizzativa nel predisporre strutture in grado di affrontare la situazione in loco e in remoto. E mentre il mondo si dibatte tra questi orrori nelle nostre realtà continuano a prevalere le sovrastrutture burocratiche che distraggono dall’esplicitare le potenzialità diagnostico-terapeutiche-riabilitative. Non ci sono due ospedali che, a distanza di quasi due anni dallo scoppio dell’epidemia, adottino le stesse misure di prevenzione, ma infinito è stato il tempo dedicato per definirle nelle singole realtà. I cittadini effettuano una inconsapevole azione di benchmarket, avvertendo e rilevando comportamenti difformi nelle diverse realtà, e ciò accresce pericolosamente il senso di sfiducia nell’approcciarsi al sistema (sono 2500 le aggressioni al personale sanitario cui occorre aggiungere quelle non denunciate). La nostra società sanitaria è chiamata a gerarchizzare gli interventi: probabilmente il condizionatore, specie in certi reparti sarà sempre consentito, ma su altri aspetti si dovrà selezionare gli interventi e non solo per i tetti che inevitabilmente il PNRR imporrà. Vaccini, varianti e scelte politiche

Solo due giorni fa, l’EMA ha dato il via libera alla vaccinazione con la quarta dose degli over 80 anni e degli over 60 se con gravi immunodeficienze. Ma alcuni Stati avevano già preso altre decisioni. Ora che cosa faranno? In Grecia era già iniziata la vaccinazione con la quarta dose per tutti gli over 60, il Regno Unito prende decisioni autonome; insomma la solita confusione che destabilizza il cittadino comune. I profughi ucraini arrivati nel nostro territorio sono vaccinati solo per il 35%, almeno 6 milioni di italiani adulti e bambini non sono ancora completamente vaccinati (non hanno fatto neppure la prima dose oppure non hanno ancora completato il ciclo di tre dosi) e non si hanno più notizie della situazione in Sudamerica e Africa, le sole notizie arrivano dalla Cina e dal Sud Est asiatico con città nuovamente in lockdown. In questa situazione piuttosto confusa, si sente qualche voce ragionevole che suggerisce agli Stati di non vaccinare tutti con una quarta dose di questo vaccino che, visto lo svilupparsi di continue varianti, dovrà essere sostituito in autunno con un vaccino polivalente per una nuova campagna vaccinale di massa per affrontare la stagione invernale. La politica dovrebbe iniziare fin da ora a organizzare la nuova campagna vaccinale, comunicando ai cittadini work in progress come stanno procedendo la produzione e le relative valutazione di un nuovo vaccino anti covid-19, come intende affrontare l’organizzazione degli ospedali da settembre in poi visto che il personale a tempo determinato sarà stato tutto licenziato. In altre parole, dire con onestà in che situazione siamo e come si prevede che saremo.

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