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Guerra, ondate migratorie, compagne vaccinali e PIL

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |


La necessità di offrire ospitalità ai profughi ucraini, in maggioranza non vaccinati, obbliga a rivedere le interconnessioni economico-sanitarie degli andamenti epidemiologici, già provati da due anni di pandemia. Isolando le singole variabili si cerca così di capirne gli effetti per stemperare gli impatti negativi e trovare le soluzioni che permettano di uscire velocemente dalla crisi. Il rilancio dell’economia transita inevitabilmente con il ristabilire al più presto condizioni operative di normalità che guerra e pandemia, oltre ai danni immediati che generano, rischiano di compromettere anche per il futuro perché comprometto lo scenario di riferimento.

Uno studio pubblicato a novembre 2021 sul Journal of Knowledge Management da un gruppo di ricercatori italiani (Francesco Saverio Mennini, Domitilla Magni e collaboratori) dell’Università di Roma Tor Vergata, ha sottolineato che la ripresa economica e la crescita del PIL dipendono anche dal tempo necessario per attuare il piano nazionale di vaccinazione. Relazione tra vaccinazioni e crescita economica

Per inquadrare la situazione, i ricercatori hanno utilizzato un modello epidemiologico basato su un programma di vaccinazione ad accesso universale e un modello economico basato sullo spostamento temporale delle proiezioni trimestrali disponibili derivanti dal ritardo o dall’accelerazione del piano nazionale anti Covid-19. Dall’analisi dei dati, emerge che un ritardo nella campagna vaccinale potrebbe presentare un impatto negativo sulla crescita del PIL italiano in quanto si avrebbe una riduzione della crescita trimestrale rispetto all’anno precedente nel breve termine e di conseguenza ritardare la tendenza trimestrale al rialzo nel biennio successivo (rallentando così l’onda lunga della ripresa). Nel 2020 il Pil italiano è sceso di circa il 10% rispetto al 2019; il tempo necessario per la ripresa dipenderà da molti fattori difficili da predire e valutare simultaneamente: durata dell’epidemia, economia globale, fiducia degli investitori, efficacia delle politiche economiche ed efficacia della campagna vaccinale che, se andrà a buon fine, consentirà una ripresa normale delle attività produttive e sanitarie. In questo scenario si innestano variabili che non avremmo mai voluto considerare perché provocate dalla pazzia come la guerra. Cosa succederà all’economia e se avremo ancora gas per riscaldarsi sono domande che angosciano sempre più e, fosse anche solo per esorcizzare le paure, ma soprattutto per fornire le basi teoriche per capire cosa sta succedendo, occorre tentare di sincronizzare il “tempo economico” necessario per la ripresa e il “tempo reale” per ottenere la copertura vaccinale per la ripresa delle attività produttive. Epidemia e accoglienza profughi

I modelli economico-sociali si basano nel considerare una o poche variabili, immaginando che le altre rimangano invariate. Il benessere di un Paese dipende sempre più dai fenomeni di globalizzazione come la pandemi e ora la guerra in Ucraina hanno brutalmente dimostrato. Agli studi finora effettuati, si affiancano gli eventi imprevisti attuali conseguenti ad una guerra totale che non si limita ad uno scontro militare, ma colpisce l’intera popolazione provocando migliaia di profughi che richiedono assistenza immediata, in primis estendendo anche a loro la possibilità di vaccinarsi se non si vogliono compromettere i risultati fin ora conseguiti nel contrastare la diffusione del virus. Solo a poco più del 30% degli immigrati è stata somministrata la prima dose del vaccino Sputnik V, percentuale lontanissima da quella raggiunta nell’Unione Europea. Inoltre il vaccino “Sputnik V”, messo a punto dal Centro nazionale di epidemiologia e microbiologia Gamaleya, utilizza come vettore un adenovirus ricombinante non in grado di moltiplicarsi: una tecnologia simile a quella utilizzata da AstraZeneca e da Johnson & Johnson. Dagli studi di cui si dispone la sua efficacia raggiunge il 91,6 % ed è mantenuta anche nei soggetti con età maggiore ai 60 anni (quindi abbastanza affidabile, anche se non al pari di quelle praticate in Europa, peccato che sia poco diffusa). Il mondo non cambierà se non cambiano i singoli comportamenti

Sotto un profilo strettamente sanitario, si può affermare che il ritorno al 2019 è attualmente pressoché impossibile ed il rafforzarne l’attuazione potrebbe rilevarsi alquanto pericoloso. La fine dello stato di emergenza al 31 marzo non deve quindi essere inteso come un “liberi tutti”, ma è necessario continuare a mantenere le misure di prevenzione cui ci siamo abituati durante il periodo del lockdown (dalle mascherine al distanziamento sociale quando necessario, dal lavarsi le mani, all’eseguire tamponi antigenici o molecolari in caso di necessità). Le verifiche epidemiologiche hanno ampiamente accertato che, se vaccinati, il rischio di contagio presenta un impatto sulla salute decisamente inferiore. Ma proprio perché il rischio non è annullato ed il contatto con popolazioni provenienti da condizioni igienico-sanitarie precarie (inevitabilmente caratterizzanti le ondate migratorie) obbligherà a prevedere un monitoraggio continuo e ad eseguire richiami con cadenze prefissate. La soluzione maggiormente idonea sarà quella di far coincidere una dose annua di vaccino con l’antiinfluenzale al fine di ridurre i disagi e garantire una copertura il più ampia possibile. Le crisi che stiamo attraversando dimostrano sempre più come il benessere individuale dipende dal contesto sempre più globalizzato in cui siamo inseriti e che, seppur consapevoli che il comportamento del singolo non può cambiare il mondo, il mondo non cambierà mai senza i comportamenti dei singoli. Le campagne vaccinali e i rischi di una copertura non universale della popolazione evidenziano con equazioni matematiche queste connessioni. Per questo diventa necessario accogliere gli amici ucraini con un sorriso, un piatto caldo e un’adeguata assistenza sanitaria: le stesse cose che vorremmo noi se dovessimo emigrare.

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