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Deglobalizzazione o ricerca della sostenibilità?


di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi


Ogni fase storica viene superata dagli eventi e, forse, anche per la globalizzazione, fenomeno che si pensava inesauribile fino al raggiungimento di un governo mondiale, si sta arrivando ad un punto di svolta, tant’è che si parla di un’inversione di tendenza o di deglobalizzazione. Inizialmente con questo termine s’identificava il superamento della globalizzazione attraverso un ritorno ai mercati locali, ma forse il fenomeno è più complesso. Con la fine della pandemia, i processi di globalizzazione probabilmente riprenderanno con più accorgimenti, per non lasciarsi cogliere nuovamente impreparati come tre anni fa, con l’esplosione della pandemia. Le catene di approvvigionamento si dovranno riorganizzare accrescendo le alternative e predisponendo dei “magazzini virtuali”, anche per superare gli ostacoli geopolitici, sempre più marcati e imprevedibili, derivati dalla guerra in Ucraina e dalla crescente tensione tra Usa e Cina per Taiwan. Probabilmente non si tratta solo di un ritorno al passato (sempre ipotizzato nei periodi di crisi, ma quasi mai concretizzatisi nella realtà), ma della ridefinizione di nuovi paradigmi.


Non riconoscersi più nell’esistente

Per decenni, i processi di globalizzazione sono cresciuti, grazie ai progressi tecnologici, senza momenti di discontinuità ma, in questi ultimi tempi, elementi strutturali stanno modificando lo scenario: gli effetti della pandemia sono ben lungi dall’essersi dispiegati e, prima ancora, dall’essere esaminati nella loro compiutezza; il conflitto tra Occidente e la Russia e la ripresa delle manovre militari nel Mar della Cina, oltre agli innumerevoli conflitti locali (ammesso che il Sudan possa essere confinato ad un fatto locale) stanno creando nuovi confini invalicabili e la crescita esponenziale dei flussi migratori non può essere codificata soltanto come elementi accidentali dell’evoluzione storica, ma come eventi che possono modificare gli equilibri sociali di un sistema.

A questi si aggiungono fattori climatici (siccità e catastrofi naturali) e l’accelerarsi della crisi finanziarie (Lehman Brothers, Silicon Valley Bank, Credit Suisse) o anche solo il sospetto che queste possano scatenarsi (Deutsche Bank ). Il concretizzarsi simultaneamente di tutti questi fattori fa venir meno la fiducia nel sistema e genera un profondo mutamento delle regole e delle interconnessioni economico-produttive e politico-istituzionali.

La discontinuità nelle dinamiche di globalizzazione non è cosa nuova, in quanto nicchie in cui l’orientamento tendeva a conservare una produzione e vendita su mercati locali, o altre forme culturali tese a conservare valori locali in contrasto con le diverse forme di standardizzazione e omologazione, vi sono sempre state. Anzi la loro stessa esistenza testimoniava come l’irruenza del processo di globalizzazione non sempre veniva automaticamente accettato. Neanche le ipotesi sull’intelligenza artificiale, con i dubbi sulla loro possibilità di manipolazione, risolvono il problema.

Il mix dei fattori climatici (extreme weather) e demografici (con popolazioni in forte crescita, altre alle prese con la denatalità), insieme alle schizofrenie causate dall’inflazione e dalla creazione incontrollata di moneta (entrambe ormai difficilmente controllabili dalle Banche Centrali), stanno accelerando i mutamenti del sistema mettendo inevitabilmente in contrasto i portatori di interessi diversi. Se discontinuità nelle dinamiche di globalizzazione vi sono sempre state, le soluzioni da adottare devono essere costantemente rielaborate, perché diventa più difficile ipotizzare che i problemi si risolvano mettendoli in comune o spostandoli presso altre sedi.


Affermazione del concetto di sostenibilità

La definizione di sostenibilità sociale è da ricondurre al rapporto Brundtland delle Nazioni Unite (1987), secondo cui lo sviluppo sostenibile è quello che consente la soddisfazione dei bisogni economici, ambientali e sociali (triple bottom line) delle attuali generazioni, senza compromettere quello delle generazioni future. Il concetto, da sociale può essere esportato a livello aziendale, identificando, con pari importanza, più visioni su cui operare:

- Economico-finanziaria: capacità di un’organizzazione di produrre ricchezza e reddito a favore di alcuni, senza compromettere le possibilità di altri;

- Ambientale: salvaguardia delle risorse naturali e valorizzazione delle tradizioni culturali delle precedenti generazioni e delle componenti sociali coinvolte;

- Sociale: rispetto dei diritti di tutti, in primis verso i collaboratori, ma più in generale verso tutti gli stakeholder.

A sostenere questo approccio è stato, tra gli altri, nel 2000, il Consiglio Europeo di Lisbona con un appello al senso di responsabilità delle imprese verso il settore sociale. Concetto ripreso nel 2001 con la pubblicazione del Green Paper della Commissione Europea, in cui si definisce la responsabilità sociale d’impresa come l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Concetti da far conciliare con l’assunto proposto da Milton Friedman, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits (titolo di un famoso articolo, apparso sul New York Times del 13 Settembre 1970), ma nel decidere se sia maggiormente sostenibile l’inquinamento delle centrali a carbone o i pericoli connessi con le centrali nucleari. Le condizioni di sostenibilità devono concretizzarsi sia in una visione localistica (dove si opera), ma non possono trascurare una proiezione globalizzata dell’impresa (i cui andamenti ne influenzano le potenzialità).

L’incapacità/impossibilità di rispondere alle speranze e alle aspettative che, nel corso degli ultimi decenni, si sono andate a radicare in larghe fasce della popolazione, obbliga a prevedere nuovi scenari da rivedere in funzione delle condizioni dettate dalla pandemia e dai conflitti immanenti che stanno ridefinendo i confini entro i quali si può operare (e non solo sotto un profilo economico, come dimostra l’arresto del reporter ed ex marine Paul Whelan in Russia che probabilmente sancisce la fine di un certo modo di intendere la libertà di circolazione dei giornalisti).


La difficoltà nel dare risposte concrete ai cittadini

L’affermarsi delle tematiche proposte dai movimenti per i diritti civili e la consapevolezza che un individuo detiene in modo assoluto delle prerogative che la società deve garantire, ha permesso significativi passi dell’umanità verso più elevati livelli di civiltà. Alcuni segnali lasciano però dubitare che gli equilibri odierni possono essere perpetuati, nelle attuali forme, per evidenti ragioni d’incapacità del sistema nel rispondere alle pretese che giungono da più parti, senza identificare chi e con quali risorse possano essere soddisfatti: i poteri centrali (statali e internazionali) faticano a trovare risposte, mentre a livello locale si sono indeboliti i supporti in grado di affrontare e gestire le singole fattispecie. Annunciare che un'azienda pubblica, erogatrice di un servizio essenziale (rientrante nei processi di globalizzazione solo per quanto riguarda i rifornimenti) conclude un esercizio con i conti in rosso, non interessa neanche agli stessi dipendenti che in essa vi operano, e meno ancora ai potenziali utenti che devono attendere mesi per poter fruire di una prestazione.

I dibattiti sul concetto di globalizzazione, sull’ambiente e su come rendere sostenibile il sistema sono sopraffatti dalle aspre polemiche sul contingente, incentrate spesso su una contestazione su quanto fatto dalla controparte, ma non in grado di modificarne realmente la situazione quando si raggiunge il potere. In ogni Paese occidentale si possono ritrovare feroci critiche al sistema durante le campagne elettorali ed un sostanziale status quo, ex post: ma probabilmente è quello che vuole il corpo elettorale abituato a "cambiare tutto per non cambiare nulla" di gattopardesca memoria.



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