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Addio “Pierino la peste”<br> L’opportunista dell’area di rigore

In pochi giorni abbiamo perduto e accompagnato emotivamente all’ultimo fischio finale della partita della vita due grandi numeri undici del calcio italiano: dopo Mario Corso, ieri ci ha lasciato anche Pierino Prati, due bandiere del calcio meneghino. Stesso numero, ma maglie, ruoli e stili diversi, anche se entrambi amavano giocare con i calzettoni arrotolati alle caviglie, come un altro grande del calcio, Omar Sivori. Pierino Prati, ala sinistra del Milan fino al 1973, da Cinisello Balsamo, classe 1946, è stato un altro dei gustosi frutti calcistici dell’Italia dei tragici anni Quaranta, da tutti soprannominato “Pierino la peste”. Facile associazione lessicale che rifletteva la facilità con cui andava in goal in area di rigore, con cui mandava in confusione i suoi marcatori. Fu il primo, precedendo Paolo Rossi, per il quale si scomodò il lemma “opportunista”, attorno al quale poi si imbastirono grandi discorsi, anche semantici, sul significato della parola. A dispetto dell’Accademia della Crusca, Pierino Prati impose il linguaggio che meglio gli riusciva: quello di segnare, tra lo stupore di chi si chiedeva da dove fosse uscita quella macchina da goal lanciata da Nereo Rocco nel 1967. Pierino la peste, cresciuto nel vivaio del Milan, aveva fatto il suo apprendistato in serie C con la Salernitana e in quella cadetta con il Savona: 25 centri in una cinquantina di gare. Mezzo goal a partita, una media per un ventenne da far alzare con interesse il sopracciglio del Paron Rocco, che non esitò a gettarlo nella mischia nel campionato 1967-68, poi vinto dai rossoneri. E di lì cominciò la Pierino story, foto e interviste sui quotidiani sportivi e non, carrellate televisive ospite della Domenica Sportiva per raccontare il nuovo fenomeno con il numero 11 sulla schiena. Riletta retrospettivamente, fu anche una sorta di supplenza per l’animo dei calciofili nel periodo in cui l’Italia si sentiva in credito con il destino per aver momentaneamente perduto un’immensa maglia numero 11: quella di Gigi Riva, il figlio putativo della Sardegna, in corsa per diventare il Rombo di Tuono di arpiniana memoria, che sul terreno dell’Olimpico di Roma il 27 marzo del 1967 aveva lasciato a pezzi il perone della gamba sinistra, la sua gamba d’elezione. Pierino Prati diede il meglio in uno spazio temporale molto breve, sufficiente però a lasciare un’impronta indelebile nella memoria di più generazioni. Con il Milan conquistò lo scudetto del ’68 e la Coppa delle Coppe, mentre in nazionale ridiede ossigeno alle speranze del cammino azzurro nel campionato d’Europa che gli stessi azzurri avrebbero poi vinto a Roma superando la Jugoslavia in una doppia e memorabile doppia finale. Al suo esordio, il 6 aprile del 1968, allo stadio Vasil Levski di Sofia contro la Bulgaria, Pierino la peste segnò il secondo goal, che rese meno incerto il ritorno nei quarti di finale. E a Napoli, due settimane dopo, Prati scoprì il profumo della terra del San Paolo, gettandosi a filo d’erba per insaccare con un colpo di testa un preciso traversone del suo capitano Gianni Rivera. Quel goal rimise in parità il conto delle segnature con la Bulgaria (3 a 3) e dall’incitamento dei tifosi napoletani Domenghini, detto Domingo, trovò l’energia per proiettare l’Italia alla fase finale. Nel suo desiderio di bruciare i tempi, quasi il presentimento di una vita destinata comunque ad essere breve nei suoi diversi cicli, Pierino Prati passò direttamente dalla gloria nazionale ai fasti della Coppa dei Campioni. Il 28 maggio allo stadio Bernabeu di Madrid, la sua doppietta iniziale traumatizzò i non ancora maestri olandesi dell’Ajax di Rinus Michels. Il profeta Johan Cruijff, Wim Suurbier, Piet Keizer, e il portiere Gerrit Bals rimasero inebetiti dalla facilità con cui Prati, mosso da Rivera, andava in rete, e quando provarono ad uscire dal guscio con un rigore di Vasović, Sormani e ancora Prati nel secondo tempo li liquidarono inesorabilmente. Una tripletta agli aiaci di un solo giocatore forse è ancora un record. Se non lo fosse, niente di male. Grazie a Pierino la peste ci possiamo permettere il lusso di crederlo, se non altro per quella fantastica notte che ci ha regalato davanti ai teleschermi, rigorosamente in bianco e nero.

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