Scuola, scuola delle mie brame qual è la soluzione migliore per il reame?
di Sandro D’Ambrosio |
Scuole aperte, scuole chiuse: mai come in questo periodo la scuola è stata oggetto di tante attenzioni e di pari polemiche. In Francia e Germania le scuole sono aperte, anzi no, le hanno chiuse. Le scuole sono luoghi sicuri perché c’è l’obbligo delle mascherine. Ma un noto esponente politico italiano, molto attivo sui social, ha sentenziato: “In Svizzera si va a scuola senza mascherine e mia figlia non la indosserà mai”. Il problema sono i trasporti. No, perché il Ministero dell’Interno ha aperto un tavolo con i Prefetti e tutto è a posto. Si viaggia al 50%, sì ma nessuno controlla. Allora scuole aperte? No, perché ci sono assembramenti all’ingresso e all’uscita. Allora ingressi e uscite differenziati. Ci sono i banchi con le rotelle, ma i ragazzi fanno le corse nei corridoi e nell’intervallo succede di tutto. Allora scuole chiuse.
Un’impavida ragazzina siede sulla gradinata della scuola con i libri sulle ginocchia per protesta. Inevitabile l’accostamento a Greta Thunberg, però al contrario, perché, per protestare, Greta non andava a scuola. Attimi di celebrità, coccole dai media ed inevitabili imitazioni. Proteste di studenti e genitori delle scuole superiori: la sostituzione della didattica in presenza con la DAD causa danni gravi ed irreversibili allo sviluppo della personalità dei ragazzi… Un po’ esagerato, anche se è vero che sono penalizzati gli studenti più fragili ed aumentano i rischi di abbandono scolastico.
Colpa del Governo, accusa l’opposizione. Il governo italiano, dopo i “successi” riconosciuti nella prima fase, si dibatte nelle contraddizioni di tutti i governi d’Europa e forse del mondo.
Se le polemiche politiche lasciano il tempo che trovano, ci sono almeno due cose che il Governo però dovrebbe garantire. Un esempio su tutti: non si può annunciare per il 7 gennaio il ritorno a scuola dei ragazzi delle superiori, sebbene al 50%, e cambiare idea un paio di giorni prima. Studenti, famiglie e insegnanti devono organizzare la propria vita ed il loro lavoro ed hanno diritto di sapere cosa succederà con ragionevole anticipo. Il Governo italiano, come tutti gli altri governi, deve seguire l’andamento dell’epidemia e, per forza di cose, navigare a vista. Sembra però necessaria una vista un po’ più lunga.
Un secondo aspetto riguarda il personale. Da almeno cinquant’anni la scuola è una fabbrica di precariato. Nei primi anni ’70 è iniziata la scuola di massa e non c’erano abbastanza laureati da mettere in cattedra. Non era raro il caso di chi iniziava ad insegnare mentre frequentava l’università. Successivamente, anche a seguito di un lento e costante calo delle leve demografiche, il sistema si è stabilizzato, dovendo garantire solo il ricambio del personale dovuto ai pensionamenti. In questo modo, in un rilevamento di qualche anno fa, il corpo docente italiano è risultato il più vecchio del mondo (non un bel record considerando le distanze tra i nativi digitali e le generazioni precedenti). Ebbene, nonostante questo, il sistema è stato sempre in ritardo nel reclutamento del personale, alimentando nuovo precariato, non solo tra i docenti, ma tra tutto il personale. Non era e non è un caso raro quello di dirigenti scolastici che si occupano di due o anche tre scuole, con le conseguenze che si possono immaginare. All’inizio di questo travagliato anno scolastico mancavano all’appello circa 80.000 docenti. La colpa è di un sistema che da troppo tempo non è in grado di bandire concorsi e di formare il proprio personale. Essere laureati in Storia non significa essere un insegnante di Storia. Allora nuovo precariato e nuove proteste per essere stabilizzati. Graduatorie ad esaurimento, concorsi riservati ed un’immagine della scuola formata da precari, malpagati, che pensano solo al loro posto. Questa è ormai la lettura prevalente che studenti e famiglie hanno della scuola che negli anni ha perso quasi tutto il suo prestigio e la sua autorevolezza.
Programmare il reclutamento e garantire gli insegnanti al loro posto all’inizio dell’anno scolastico non costa nulla perché precario o no il personale viene pagato.
È sulla bocca di tutti i politici la “centralità della scuola”, che disegna il nostro futuro. Ebbene, con i fondi del “New Generation UE” si deve e si può affrontare non solo il tema del reclutamento e della formazione iniziale, ma anche dotare le scuole di un bilancio meno indecente che garantisca non solo l’insegnamento ordinario, ma anche forme innovative ed integrative dei curricula, nuovi strumenti didattici e garantire agli insegnanti una retribuzione adeguata che valga anche a riconoscere agli occhi del mondo il prestigio sociale progressivamente perduto (lo stipendio è indicativo del valore sociale che si riconosce ad una professione).
Detto tutto ciò, e a dimostrazione di una permanente disfunzione del sistema scuola, è da considerare inaccettabile, anzi mostruoso, che chi lavora non venga neanche pagato. È sui giornali il caso di un’insegnante che da Palermo si è trasferita a Torino con il proprio figlio pur di avere un lavoro (naturalmente precario), costretta poi a rientrare nella sua città d’origine perché non ce la fa più: da ottobre lavora, ma non viene pagata perché non ci sono soldi nel relativo capitolo di spesa. E, purtroppo, non è un caso isolato. Ogni commento, sarebbe superfluo.
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