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Riciclare la plastica? Una frode

di Sergio Cipri


La bottiglia di acqua minerale è vuota. Prima di gettarla nel contenitore della differenziata di casa la osservo con attenzione: plastica trasparente, si ma anche verde, blu… Il tappo è visibilmente di un tipo di plastica diverso. L’etichetta è ancora di un tipo differente, stampata in inchiostri diversi, quando non addirittura in carta. Sono un ambientalista attento e separo l’etichetta di carta prima di mettere la bottiglia al riciclo. Ma l’adesivo che la tiene attaccata? A questo punto guardo con più attenzione gli altri, numerosi, contenitori che sono ampiamente utilizzati per ogni tipo di confezione. Hanno tutti etichette adesive, la maggior parte in carta. E che dire delle buste dei biscotti, fatte di un multistrato di carta, più plastica e più alluminio, che le istruzioni dicono di riciclare nella plastica. E’ evidente che una simile busta non può essere riciclata nella plastica. Inizio ad avere qualche sospetto.

Domanda: come è possibile riciclare tonnellate di rifiuti in plastica con questo grado di variabilità e componenti diversi in modo tecnicamente gestibile ed economicamente sostenibile? La tecnologia ci ha abituato a risultati sorprendenti, ma usando il banale buon senso chiediamoci quali e quante operazioni meccaniche e chimiche sarebbero necessarie, e con quale ragionevole esito. La risposta - almeno per le mie conoscenze - è assolutamente evidente. Non si può. A meno di estrarre dalla montagna di rifiuti solo contenitori puliti di non più di due/tre tipi di plastica recuperabile. E tutto il resto? Ma allora perché una ammiccante pubblicità ci spiega, fra i tanti messaggi rassicuranti - che con XX bottiglie si può produrre quella elegante panchina, ovviamente verde, che possiamo vedere? E in che modo sopravvivono i vari Consorzi di Recupero Plastica incaricati del cosiddetto riciclo dai nostri comuni?


Le indagini del Center for Climate Integrity

Le risposte, chiare e precise, arrivano da un approfondito documento appena pubblicato (febbraio 2024 - inglese) dal Center for Climate Integrity [1], un Centro di ricerche finanziato dalla Fondazione Rockfeller, che dichiara apertamente la sua missione: “The Center for Climate Integrity (CCI) helps communities hold oil and gas corporations accountable for the massive costs of climate change” Il titolo del documento è autoesplicativo: “La frode del riciclo della plastica” [2]

Ma per capire le dimensioni del fenomeno dobbiamo partire dalla fonte. Il Global Plastic Outlook 2022 [3], corposo documento dell’OCSE, fornisce alcuni dati globali sul ciclo della plastica. La produzione annuale di plastica è raddoppiata da 234 Mt/anno (milioni di tonnellate/anno del 2000 a 460Mt/anno del 2019. I rifiuti sono più che raddoppiati, nello stesso periodo, da 156 a 353Mt/anno. La percentuale riciclata è un esiguo 9%, il 19% viene smaltito negli inceneritori, il 50% va in discarica, il 22% viene disperso nell’ambiente. La stima cumulata è di 109Mt nei fiumi e 30Mt negli oceani. Le 7 isole di rifiuti plastici, la più grande con una superficie stimata 6 volte la Gran Bretagna [4] che galleggiano nei nostri oceani forniscono una immagine plastica (scusate il gioco tragico di parole) di quello che stiamo combinando.

Il documento dedica poi ampio spazio agli interventi necessari per ridurre l’impatto devastante dell’utilizzo crescente della plastica. Lo spazio dedicato a misure per sostituire la plastica con altri materiali è (non) stranamente limitato. La maggiore attenzione è dedicata allo smaltimento e al riciclo. Ma c’è un dato abbastanza illuminante: di tutta la ricerca tecnologica sulle materie plastiche solo l’1,2% è dedicato al riciclo. Come mai? L’opinione di chi scrive, dopo attenta osservazione sulla composizione dei rifiuti plastici di produzione casalinga, è che ci sia poco da ricercare: il rifiuto plastico da contenitori e confezionamento è strutturalmente poco riciclabile.


Economia circolare: un nuovo artificio dialettico?

Con queste premesse la lettura del documento “La frode del riciclo della plastica” non appare più, come potrebbe a prima vista, esagerato e inutilmente allarmistico. Il problema dei rifiuti plastici è esploso alla fine degli anni '50 con l’introduzione sul mercato dei prodotti “usa e getta”. Comodi, a basso costo, hanno invaso il mercato, fatto la fortuna delle aziende produttrici e generato un problema ambientale che sta diventando talmente devastante che la Comunità Europea, ad esempio, ha vietato la vendita delle stoviglie usa e getta.

E’ comprensibile che i produttori non vedano di buon occhio un calo importante del loro business, avendo tra l’altro due alleati: i petrolieri, visto che quasi il 100% della plastica deriva dal petrolio, e i consumatori, che solo recentemente sembrano rendersi conto del pericolo. Il pericolo speculare, per i produttori, è la crescita di una coscienza ecologica nell’opinione pubblica, sempre più attenta all’impatto delle sue abitudini di consumo sull’ecosistema. Come contrastare quindi un più consapevole atteggiamento da parte dei consumatori? Con la nuova rassicurante parola d’ordine: l’economia circolare! Perché rinunciare agli indubbi vantaggi della plastica quando basta riciclarla dandole nuova vita?


La filiera del riciclo è finanziata dai produttori di imballaggi, con contributi per lo smaltimento molto variabili (da 20€/tonn a 600€/tonn) in funzione della facilità di riciclo e del valore di mercato del prodotto riciclato. In Italia, per il settore pubblico, questo finanziamento è gestito dal CONAI (ente privato senza scopo di lucro) che trasferisce al COREPLA (Consorzio Recupero Plastica - altro ente senza scopo di lucro) la quota relativa agli imballaggi in plastica provenienti dal consumo privato. COREPLA stipula accordi con i Comuni sostenendo parte dei costi della raccolta rifiuti relativamente alla plastica che viene conferita al Consorzio. Questo, a sua volta, redistribuisce il materiale ad aziende specializzate (2480 nel 2022) nella selezione e trasformazione del rifiuto in prodotto utilizzabile. Non tutto il riciclo passa dalla raccolta differenziata dei Comuni. Esiste un mercato dei rifiuti plastici industriali con compravendita diretta fra imprese che contribuisce alla quota di plastica riutilizzabile.

Se, in conclusione, vogliamo capire quanto fidarci della nostra capacità di contenere il problema dei rifiuti plastici confrontiamo la cifra dichiarata da COREPLA circa la percentuale di materiale trattato riportato a nuova vita: 9.9% (2021) con il dato mondiale fornito dall’OCSE: 9%. Dove finisce il restante 90%? E qui si apre la voragine dell’esportazione all’estero dei rifiuti plastici “per essere riciclati”. La Cina, fino a quando non lo ha vietato (2021) era un fantastico buco nero dove a costi ragionevoli ci liberavamo del problema.

Volete una chiusa consolatoria, immagino. Ci sono corposi documenti OCSE che ipotizzano un possibile insieme coordinato di interventi per un pianeta libero dalla plastica per il 2060. In quella data saremo già stati liberati dal petrolio da almeno 10 anni. Magnifiche sorti e progressive ci attendono.

 

Note


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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