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Rappresentanza in rosa: Piemonte e Bel Paese inadempienze gemelle

di Chiara Laura Riccardo|

Il Regio Decreto n. 5 del 1938, riferimento legislativo che stabiliva la percentuale di donne che poteva accedere alle cariche pubbliche, affermava che “la frivolezza e la vanità femminile impediscono alle donne di applicarsi con costanza ed assiduità a studi e lavori intellettuali seri e che, se anche esse fossero riuscite a farlo, l’eccesso di fatiche scolastiche avrebbe provocato indebolimento e fatica fisica e mentale nelle donne e che i lavori intellettuali avrebbero fatto loro perdere la femminilità e la grazia”. Ma oggi possiamo davvero dirci lontani da questo “pensiero”, se guardiamo alla concreta presenza femminile nelle istituzioni politiche? È notizia di poche settimane fa che la Regione Piemonte risulta essere tra le poche regioni italiane ancora inadempienti rispetto alla Legge 20/2016 relativa alla promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive politiche. La suddetta Legge stabilisce la “modifica all’articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l’equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali”. Le modifiche attengono alla “promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive, disponendo che: 1) qualora la legge elettorale preveda l’espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima; 2) qualora siano previste liste senza espressione di preferenze, la legge elettorale disponga l’alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale; 3) qualora siano previsti collegi uninominali, la legge elettorale disponga l’equilibrio tra candidature presentate col medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale”. In riferimento a questo, il Piemonte, dunque, è tutt’oggi una delle regioni in cui non si consente l’espressione della seconda preferenza “riservata a un candidato di sesso diverso” oppure non si prevedono né la doppia preferenza, né le quote di lista. E questo, di fatto, non garantisce l’equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini all’interno del Consiglio Regionale. Il tutto viene anche confermato dai dati presenti nel dossier del “Servizio Studi Dipartimento Istituzioni” della Camera dei Deputati dedicato all’analisi della partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale. Per quanto riguarda gli organi della Regione Piemonte (dati al 5 febbraio 2021), viene riporto che in Consiglio Regionale su 51 componenti solo 8 sono donne (16%) e in Giunta Regionale su 12 componenti solo 3 sono donne (25%). Se ampliamo lo sguardo all’Italia, analizzando i dati del Gender Equality Index, non possiamo che vedere confermato il problema di rappresentanza femminile in politica: infatti, sulla presenza di donne nell’ambito “potere politico” (governi, parlamenti, assemblee regionali, ecc.), l’indice associa all’Italia un punteggio pari a 47,9. Un risultato, questo, inferiore alla media del’Unione Europea (55,0) e ai punteggi di paesi quali Francia (80,8), Germania (69,6) e Regno Unito (58,7). E ancora, dai dati elaborati da Agi-Openpolis, attualmente l’Italia è tredicesima in Europa per percentuale di donne ministro e sotto la media europea del 30,40% (al primo posto la Spagna con oltre il 60%). Se guardiamo poi alle posizioni di vertice, nessuna donna in Italia ha mai rivestito la carica di Presidente della Repubblica o di Presidente del Consiglio. La carica di Presidente della Camera è stata declinata al femminile nelle legislature VIII, IX e X (con Nilde Iotti, Irene Pivetti e Laura Boldrini). Anche alla Presidenza del Senato nell’attuale legislatura, con l’elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati, per la prima volta si è insediata una donna. Questi numeri sono in totale antitesi con quanto stabilito nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta nel 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, che individua, tra i 17 obiettivi globali che mirano porre fine alla povertà, proteggere il pianeta e assicurare prosperità a tutti i paesi entro il 2030, di “garantire la piena ed effettiva partecipazione femminile e le pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale nella vita politica, economica e pubblica”. Non possiamo non considerare in questo ragionamento anche il fatto che, la politica attuale, sta vivendo un’importante crisi, vuoi per una progressiva mancata fiducia degli italiani nelle istituzioni, vuoi per una mancata capacità di queste ultime di garantire le giuste risposte e la necessaria incisività e partecipazione. Se guardiamo poi alle ultime elezioni amministrative del 2021, queste hanno registrato dati poco confortanti proprio in termini di inclusione di genere: nella corsa a sindaco, infatti, si sono su 162 candidati 30 erano donne (meno di una su cinque) e nelle otto città chiave italiane, nessuna donna è stata eletta. I dati, dunque, non possono che confermare quello che in politica è, in realtà, un gap di genere cultural-sociale, dove le resistenze al cambiamento sono ancora largamente diffuse. Se pensiamo alle affermazioni di Angus Campbell, psicologo sociale, per cui la donna “accetta la leadership dell’uomo e non c’è da aspettarsi che possa mai diventare agente politico in prima persona” e di Lane, scienziato politico e psicologo politico americano, relativa alla “naturale orbita più limitata delle donne”, molti sono ancora gli sforzi da fare e “le donne devono lottare per le altre donne perché gli uomini gratuitamente non ci danno nulla” come affermava nel 1976 Tina Anselmi, protagonista nella Resistenza ed esponente di rilievo della Democrazia Cristiana, prima donna a ricoprire una carica nel governo italiano. È necessario ambire ad un nuovo assetto dove le “quote rosa” siano solo uno degli elementi importanti per favorire un empowerment (il processo di riconquista della consapevolezza di sé, delle proprie potenzialità e del proprio agire) politico femminile in un contesto permeato dalla sottorappresentazione delle donne nei governi delle regioni. È auspicabile che si miri a concretizzare quello che nella teoria è considerato da tutti un valore, un argomento politically correct, che però nella pratica è ancora poco attuato, ovvero il governo della cosa pubblica anche da parte delle donne perché, come sostenne il leader del Pci Palmiro Togliatti, nel suo discorso alla prima Conferenza delle donne comuniste svoltasi a Roma nel giugno del 1945, “la democrazia italiana ha bisogno della donna e la donna ha bisogno della democrazia”.

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