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PUNTURE DI SPILLO. Posti di lavoro: ne elimina più il profitto che l’IA

a cura di Pietro Terna

Devo alla lettura di un messaggio di uno studioso molto interessante – che mi include nella sua corrispondenza – lo spunto per iniziare questo pezzullo. Uno sviluppatore guadagna 100 dollari all’ora a Seattle (Usa), ne ottiene 15 all’ora in Spagna e 3 al giorno in Pakistan. Al giorno! E lavora benissimo ed è disponibile nella fascia oraria richiesta. Che cosa c’è di male? Si dà lavoro a chi non l’avrebbe e si ottengono dei risultati molto positivi per gli straricchi che fanno passerella a Davos e persino per i consumatori occidentali, che trovano prezzi inferiori! Le cose non stanno proprio così e per una recente conferenza ho preparato lo schema che compare nell’articolo. Prima di esplorarlo, un po’ di storia.



 La riflessione che propongo riguarda una vicenda lunga, che è quella delle macchine e dell’automazione; ora, dell’intelligenza artificiale (IA); sempre, con la riduzione del lavoro necessario per produrre i beni. (A ben guardare, con i dati sopra, di posti di lavoro ne elimina più il profitto che l’IA)!

In passato i posti di lavoro complessivi non si sono ridotti, sono cambiati: spesso in bene, purtroppo anche in male. Chi non è d’accordo, si guardi intorno mentre cammina per Torino e vedrà passare ciclisti un po’ di tutte le età, gravati da scatoloni colorati.



Una brevissima ricostruzione per gli ultimi 100 anni. Nel 1928 il New York Times pubblicava un paginone con il titolo[1] che si vede nella figura: “La marcia della macchina rende le mani oziose”. Poi con: la crisi del 1929, la seconda guerra mondiale, gli anni dal 1950 al 1970 e la ricostruzione più il boom economico, ecco che la questione della “marcia delle macchine” è stata accantonata. Ricompare prepotentemente all’inizio di questo secolo, ma la grande crisi del 2008 la rimanda in secondo piano. L’Economist del giugno 2016 ridà gran voce al problema, riecheggiando il titolo del 1928.


Ecco la “March of the machines” nella copertina riportata qui nella figura, con il sottotitolo che mette in primo piano l’intelligenza artificiale. Poi la pandemia e di nuovo la guerra. Ultima tappa: il 30 novembre 2022 fa la sua apparizione in pubblico ChatGPT,[2] l’intelligenza artificiale di cui ora tutti parlano, e questa volta la sostituzione del lavoro è evidente, senza che sia altrettanto visibile la creazione di nuove occasioni di lavoro.

 Veniamo allo schema che contiene le frecce, con una proposta di lettura che sappia guardare sia localmente, sia al mondo. Automazione e IA aumenteranno ancora, in modo molto rapido o moderato; vedremo se con gradualità o accelerando. La produzione, tanto o poco, crescerà, difficile resti costante con l’enorme fabbisogno di beni nei paesi svantaggiati.

 L’occupazione scenderà, resterà costante o aumenterà, ma non moltissimo, come effetto delle spinte di automazione e IA, da un lato, e della produzione. dall’altro. Fondamentali l’effetto degli orari di lavoro e del decentramento, anche con la grande novità del telelavoro nei settori più innovativi, ma anche amministrativi, di cui si diceva all’inizio. Gli effetti sulla prosperità, termine desueto, ma evocativo, possono essere di massimo contrasto nel mondo. Il grande rischio è che crescano ancora le disuguaglianze, invece di diminuire, e che l’attenzione verso l’ambiente subisca tendenze molto contrastanti.


 Questa la mia lettura. Tutti possono esercitarsi a modificare e commentare diversamente lo schema, ma tutti devono accettare il grande vincolo per cui non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.

 Il piccolo baccelliere[3] di musica, che arricchisce gli spilli con i suoi interventi, annota che ci sono diseguaglianze antiche e diseguaglianze moderne. Quelle che conoscevano i nostri nonni cercavano fortuna e redenzione nell’emigrazione, prima che al Nord verso l’altra sponda dell’Atlantico. La nave che partiva da Genova faceva rotta verso il Sudamerica, attraccando al Puerto de Buenos Aires, quella che mollava gli ormeggi di Napoli arrivava ai moli di New York. Strani incroci geografici e del destino tra nord e sud del nostro Paese e l'opposto del Continente americano...

Chi andava lontano trovava abitudini e soprattutto suoni diversi da quelli a cui era abituato. Primo fra tutti il suono della lingua, quella che secondo Guccini “feriva al cuore come un coltello”.

E poi la musica. A poco a poco si imparavano l’una e l’altra. Inevitabilmente però i nuovi arrivati, le loro lingue e le loro musiche, si mescolavano. Italiani, irlandesi, polacchi, qualche tedesco, i discendenti degli schiavi. Fu così che nacque il tango. Una nota musicale vestita di raso peccaminoso, così lo ha definito qualcuno. Quello di Astor Piazzolla (foto sinistra) non è lo stesso che trasudava nei barrios della capitale argentina. Ė però una speranza di redenzione. L’urlo disperato che diventa nota raffinata,[4] nell’incontro con un grande jazzista come Gerry Mulligan. 




Note

[2] Vedere ad esempio con “Non è mai troppo tardi”: chiediamo a un’IA come funziona a https://www.laportadivetro.com/post/punture-di-spillo-non-è-mai-troppo-tardi-chiediamo-a-un-ia-come-funziona

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