top of page

PUNTURE DI SPILLO. IA e lavoro: tra cyborg e centauri, dove finisce l'uomo?

a cura di Pietro Terna

Il Financial Times del 10 novembre, con un articolo[1] di John Burn-Murdoch, editorialista e “capo cronista dei dati” del giornale – bellissimo incarico –, riprende un articolo scientifico che analizza gli effetti dell’intelligenza artificiale sul lavoro impiegatizio con la conclusione, solo apparentemente rassicurante, che “Alcuni lavori sono vulnerabili all'automazione, ma chi è un cyborg o un centauro [inteso non come motociclista... N.d.A] può lavorare meglio con l'aiuto dei robot”.

Non è rassicurante: non vogliamo una società di cyborg – che interagiscono inconsciamente con le IA – o di centauri – un po’ persone e un po’ macchina –, ma di donne e uomini liberi che usano le macchine come devono essere usate: oggetti utili fuori di noi. Proviamo a riflettere.

Nell’articolo[2] richiamato dal FT i ricercatori mostrano che, a pochi mesi dal lancio di ChatGPT, i copywriter (autori) e i graphic designer delle principali piattaforme di freelance, cioè coloro che lavorano su commessa, in modo indipendente, soprattutto nel campo della comunicazione, hanno registrato un calo significativo del numero di lavori richiesti e una diminuzione ancora più marcata dei guadagni. Dunque l'IA generativa sta sottraendo lavoro e inoltre svaluta il lavoro che quei professionisti ancora svolgono. Lo stesso fenomeno si può presentare i molti campi, là dove un esperto lavora in modo creativo utilizzando il proprio ingegno, ad esempio nella creazione di programmi informatici.

Nella riflessione sul futuro del lavoro è molto difficile e forse controproducente distinguere effetti dell’intelligenza artificiali, dei robot più o meno autonomi e dell’automazione più in generale: si tratta di strumenti a diverso grado di innovazione e con platee di riferimento in parte separate. Ora, con il prorompere sulla scena – nella prima parte del 2023 – della sfida tra OpenAI (Microsoft), Google e competitori minori, la scena è occupata dalle LLM[3] che ci presentano le applicazioni di IA cosiddetta generativa[4], ma rappresentano solo una parte del cambiamento. Il comune denominatore è la sostituzione del lavoro o di parte di esso e, forse, la creazione di nuove occasioni di lavoro, ma con quale equilibrio?

L’Economist[5] nel 2016 ha intitolato il primo di otto articoli sul problema della sostituzione del lavoro con «March of the machines», con soprattitolo «Artificial Intelligence». Il titolo riprende quello di un emblematico del New York Times del 26 febbraio 1928, poco prima della Grande Crisi. Con le due parole del soprattitolo, artificial e intelligence, diventa lampante la differenza tra il 1928 e il 2016, o il 2023 in cui ragioniamo ora. Il secondo articolo della serie dell’Economist, con «The return of the machinery question» echeggiava il titolo del capitolo 31 On Machinery di Ricardo (1821) e anche quello del Fragment über Maschinen di Marx (1857-8) nei Grundrisse. [6]

Con l’economista liberale David Ricardo siamo nel 1821: dopo aver esposto[7] una visione del tutto positiva delle macchine che operano a vantaggio di tutti – dei proprietari terrieri, o capitalisti, e degli operai, con i primi che ricevono maggiori rendite o profitti e i secondi (operai) che beneficiano dei minori prezzi dei prodotti, mentre la crescita incessante dei beni da produrre li mantiene occupati –, Ricardo afferma (traduzione di chi scrive):


(rif.31.3): Queste erano le mie opinioni e sono inalterate per quanto riguarda i proprietari terrieri e i capitalisti; ma sono convinto che la sostituzione del lavoro umano con le macchine sia spesso molto dannosa per gli interessi della classe dei lavoratori.

(rif.31.4) Il mio errore è derivato dal presupposto che ogni volta che il reddito netto (ndr, da intendere come profitto) di una società aumenta, aumenta anche il suo reddito lordo (ndr, da intendere come profitto più salari); ora, tuttavia, mi rendo conto delle ragioni per cui una sola grandezza, quella da cui i proprietari terrieri e i capitalisti ricavano le loro entrate, possa aumentare, mentre l'altra, quella da cui dipende principalmente la classe operaia, può diminuire, e quindi ne consegue, se ho ragione, che le stesse cause che possono accrescere i benefici netti [ndr, i profitti] del paese, possono allo stesso tempo rendere la popolazione ridondante e deteriorare le condizioni degli operai.


Karl Marx (nei Grundrisse, più di 150 anni fa) articola quel cambiamento. Dal cosiddetto Frammento sulle macchine[8]:

(…) una volta assunto nel processo produttivo del capitale, il mezzo di lavoro percorre diverse metamorfosi, di cui l’ultima è la macchina o, piuttosto, un sistema automatico dl macchine (sistema di macchine; quello automatico è solo la forma più perfetta e adeguata del macchinario, che sola lo trasforma in un sistema), messo in moto da un automa, forza motrice che muove se stessa; questo automa è costituito di numerosi organi meccanici e intellettuali, di modo che gli operai stessi sono determinati solo come organi coscienti di esso.

Di conseguenza, il lavoro – tempo dedicato per lavoratore e quantità di lavoratori – sarà sempre meno importante per ottenere la produzione, che deriverà da macchinari sempre più sofisticati grazie alla scienza e con all’investimenti di risorse, ottenute dai profitti. I capitalisti, per Marx, avranno utili sempre maggiori e impoveriranno i lavoratori con retribuzioni sempre più limitate.

A chi quei capitalisti venderanno la super produzione ottenuta grazie alle super macchine? La crisi inevitabile è interna al sistema e non richiede una rivoluzione cruenta per determinare il cambiamento della proprietà dei beni di produzione. Quelle stesse macchine, nella visione di Marx, producono l’abbondanza e quindi la gratuità dei beni. In prospettiva serve dunque una autentica rivoluzione sociale, nell’organizzazione della convivenza e negli atteggiamenti verso il lavoro.

Tirando provvisoriamente le fila: la prospettiva lontana è quella di una società che deve completamente riconfigurare il valore dei beni (merci e servizi) tenendo conto del loro decrescente contenuto di lavoro. È già accaduto, ad esempio con la modernizzazione dell’agricoltura. Senza andare molto lontano, si consideri la produzione del riso in Piemonte e che cosa è accaduto in mezzo secolo. Ora accade in modo accelerato e per attività impensabili sino a ieri o all’altro ieri. Da un lato dovranno diminuire i prezzi, di tutto; dall’altro dovranno rafforzarsi forme di reddito universale finanziato dall’immenso guadagno di produttività ottenuto dal capitale produttivo, di cui non può essere data per scontata la proprietà solo privata.

Tutto ciò non può che accadere, non sappiamo in quale prospettiva di tempo e con quali modalità nella trasformazione. Mentre accade, con la velocità che i nostri pronipoti potranno misurare ex post, devono essere salvaguardati gli equilibri della vita sociale all’interno dello scenario geopolitico mondiale. Riguardiamo il film[9] WALL•E del 2008: gli esseri umani vivono in un mondo completamente automatizzato e i robot artificialmente intelligenti sono responsabili di tutto il lavoro produttivo e controllano gli umani. Le persone stanno in poltrona, ingrassano e guardano la televisione. È un futuro possibile?

Il Maestro di musica degli spilli annota che, a proposito di poltrone e divani, poco meno di un anno fa, Nicholas Payton ha pubblicato The couch sessions. Il divano è assurto a simbolo dell'inattività di coloro che, giovani o no, si trovano fuori dal mondo del lavoro. Il divano può anche essere quello del terapeuta e per Payton è questa la chiave di lettura: la musica e il suo potere curativo. La proposta è l’ascolto di Christina, il soffuso brano[10] conclusivo del disco. Payton, pianista e trombettista, fa parte del movimento dei musicisti afroamericani che rifiutano il termine jazz sostituendolo con Black American Music (BAM) a sottolineare le profonde radici di questa musica. Una presa di posizione a cui è sottesa una profonda consapevolezza. La stessa che è richiesta al decisore pubblico che può agire attraverso istruzione, welfare e politiche fiscali per mitigare gli effetti della riduzione del lavoro.


Note [1] Here’s what we know about generative AI’s impact on white-collar work. Per leggere l’articolo suggerisco una strada che il Financial Times non preclude: se si mette il titolo in un motore di ricerca come Google si arriva al testo, con un link che però funziona solo una volta. [2] The Short-Term Effects of Generative Artificial Intelligence on Employment: Evidence from an Online Labor Market, https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4527336 [3] Un modello linguistico di grandi dimensioni (LLM, da Large Language Model) è un modello linguistico computerizzato che consiste in una rete neurale artificiale con molti parametri (da decine di milioni a miliardi), addestrata su grandi quantità di testo non etichettato contenente fino a trilioni di token, utilizzando l'apprendimento auto-supervisionato o l'apprendimento semi-supervisionato [4] In grado di creare nuovi contenuti: testi, audio, codice informatico, … [5] https://www.economist.com/leaders/2016/06/25/march-of-the-machines [6] I Grundrisse di Marx (Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie o Fondamenti della critica dell’economia politica, furono pubblicati solo nel 1939 a Mosca e successivamente, in varie lingue, in altri paesi. A https://www.sitocomunista.it/marxismo/Marx/grundrisse/grundrisse_indice.html si trova una versione online in italiano. [7] On the Principles of Political Economy and Taxation online a https://www.econlib.org/library/Ricardo/ricP.html [8] Testo tratto da https://www.sitocomunista.it/marxismo/Marx/grundrisse/grundrisse_indice.html [9] https://it.wikipedia.org/wiki/WALL•E [10] https://www.youtube.com/watch?v=IJrYEAFAVB8

85 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page