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Primarie centro sinistra: la tentazione di ignorare il debito di Torino

di Anna Paschero |


Venerdì scorso Radio Associazione Radicale “Adelaide Aglietta” ha organizzato il primo confronto on line tra i candidati sindaco del centro sinistra. All’appuntamento, cui non ha aderito Stefano Lorusso, hanno partecipato Igor Boni (militante del partito Radicale), Enzo Lavolta (Pd, attuale vicepresidente vicario del consiglio comunale di Torino), Gianna Pentenero (Pd, già assessore regionale con Mercedes Bresso e Sergio Chiamparino) e Mauro Salizzoni (Pd, consigliere regionale e vice presidente). I quattro si sono misurati sui contenuti prescelti (ambiente, cultura, turismo, occupazione, eventuali alleanze in caso di ballottaggio), non senza fatica per rispettare i tempi di risposta (due minuti) imposti dalla regia.

Atteso e circondato da comprensibile curiosità, il primo dibattito online tra i candidati sindaco di Torino alle primarie del centro sinistra ha pagato il prezzo annunciato alla vigilia: l’assenza di Stefano Lorusso, cioè dell’esponente che più di altri ha marcato la presenza del Pd in Sala Rossa per i ruoli amministrativi e politici ricoperti negli ultimi dieci anni (assessore con il sindaco Piero Fassino, capogruppo all’opposizione di Chiara Appendino). E sono stati molti a domandarsi se il forfeit di Lorusso, autentico convitato di pietra, non corrisponda a una precisa finalità o strategia, facilmente individuabile, ma non per questo meno efficace e persuasiva: devitalizzare a distanza il peso specifico degli altri candidati con il suo curriculum e con il credito (finora non sconfessato) che riscuote nell’apparato di partito, tra i vertici e i circoli del Pd, e i Consigli circoscrizionali di Torino. Con queste premesse è evidente che la corsa degli altri candidati potrebbe apparire in salita se nell’immaginario collettivo del centro sinistra dovesse prevalere lo scenario in cui le primarie si radicalizzano tra due “schieramenti”: Lorusso e gli altri. E, ultimo ma non meno importante, se le indicazioni del Pd nazionale dovessero essere lette come pressioni indebite o autentiche invasioni di campo nell’autonomia delle segreterie locali dem. Più problemi dunque incombono su Boni, Lavolta, Pentenero e Salizzoni, ma non meno, anzi, se non maggiori su Lorusso. Per il paradosso della conseguenza, è proprio dal capogruppo del Pd in Comune che si reclamerà, alla stretta delle primarie, un progetto di prospettiva pari alle sue credenziali ed esperienza per fronteggiare la pesante situazione debitoria della città e per riorganizzare su criteri di ammodernamento e di efficienza la “macchina comunale”. Un progetto che, senza che si misconosca altri aspetti della gestione amministrativa, potrebbe e dovrebbe agire da volano di trasmissione per il rilancio economico di Torino e da traino per i suoi settori scritti nel proprio dna: industria, ricerca e cultura. Dunque, a rischio di deludere più di altri, e i vari Boni, Lavolta, Pentenero e Salizzani ne sono consapevoli, è proprio Lorusso. Il diritto alla buona amministrazione, infatti, è il tema che mette sulla stessa linea di partenza tutti i candidati. Ma si tratta di un argomento complesso che non può essere affrontato da “dilettanti allo sbaraglio” versione Corrida del compianto presentatore Corrado Mantoni. Non a caso, il diritto alla buona amministrazione trova base normativa non solo nella Costituzione italiana, ma anche in ambito europeo con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. L’obiettivo comune è quello di una cultura amministrativa che concepisce la buona amministrazione come principio dell’organizzazione e dell’azione della Pubblica Amministrazione e soprattutto come diritto fondamentale del cittadino. Il principio assume più che mai attualità nel momento in cui, anche a livello locale, le pubbliche amministrazioni sono chiamate a interagire con un “piano di recupero ” cruciale per le sorti del Paese, che le dovrà vedere impegnate al massimo delle proprie capacità. Tale piano inizia e termina con l’inizio e la fine della consiliatura che si apre con le prossime elezioni amministrative a Torino. Sottacere questo argomento rappresenta un “vulnus” per i cittadini, soprattutto quando viene palesato il ricorso alle risorse straordinarie gratuite dell’Unione Europea, per far fronte all’insufficienza delle risorse proprie del Comune a finanziare la spesa ordinaria. Occorre ricordare che, a differenza della gestione dei tradizionali fondi europei, le risorse finanziarie del Recovery Plan hanno una serie di condizioni legata al raggiungimento degli obiettivi economici che può generare la realizzazione di ciascun progetto, con l’obiettivo di farne crescere l’indotto economico (nuovi posti di lavoro, imprese, etc.) ed evitare così di finanziare, come talvolta accade nella realtà italiana, spese correnti o fini a se stesse. In quest’ultimo caso le risorse potrebbero anche essere rifiutate dalla Commissione. Queste condizioni, ne sono fermamente convinta, saranno molto positive per costringere la Pubblica Amministrazione a porre finalmente in essere le riforme di sistema necessarie non solo a spendere queste risorse nei tempi previsti, ma a spenderle bene. Chi si appresta al governo di Torino, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza, non potrà non tener conto di questo capitolo del programma, decisivo per l’efficienza della spesa, anche quando questa viene erroneamente considerata un regalo. La Commissione Europea dovrà, anche se a lungo termine, restituire agli investitori internazionali i 750 miliardi del Recovery Fund e toccherà ai Paesi membri, tra cui l’Italia, farlo, finanziando con nuove e maggiori entrate il bilancio comunitario.

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