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Pensioni, il solito tabù per qualunque governo

di Emanuele Davide Ruffino|

Lo scontro politico per un pugno di voti si fa sempre più duro e non aver affrontato il problema nei mesi scorsi, aggrava la posizione di tutte le componenti politiche, sociali e sindacali che si sono illuse di poter di risolvere il problema semplicemente rivendicando uno slogan. L’analfabetismo economico della società italiana è emerso anche dalla confusione di dati che i mass media, e prima ancora, gli organi istituzionali vanno a proporre con una saltuarietà che già da sola indica la superficialità del dibattito. Dati di realtà e produttività

È vero che quota 100 ha presentato un indice di sostituibilità tra lo 0,4 e 0,5 (che comunque vuol dire centinaia di migliaia di posti di lavoro), ma ciò evidenzia come una parte significativa della popolazione impiegata, non solo non risulta indispensabile ma presenta una bassa produttività. L’impedire di andare in pensione, quando si è già poco utile al sistema, non sembra una grande soluzione per il rilancio economico. A ciò si aggiunge che, con l’avanzare dell’età e con i postumi del Coronavirus, la richiesta di periodi di malattia è destinata ad aumentare, specie se si considera che il denunciare un mal di schiena o un mal di testa non è oggettivamente confutabile (come sottolineato dai mass media in occasione dell’introduzione del Green pass, per spiegare l’impotenza dei medici prescrittori nel dover rilasciare i certificati di malattia… ma gli italiani lo sapevano già). Se poi si esamina la giurisprudenza che ha mandato assolti anche chi, in convalescenza, giocava una partitella di pallone con gli amici, il problema dell’Inps non è quello dell’aggravio delle pensioni, ma delle maggiori spese per l’assenza per la cosiddetta “mutua” facile. C’è da chiedersi quale società è quella che non emana regole stabili (in primis separando l’assistenza dalla previdenza, opera incompiuta da alcuni decenni) e crea incertezza, al punto di non sapere se fra due mesi quali e quanti soggetti potranno andare in pensione. Si pensi ai medici e agli infermieri che guardano alla pensione oggi per non ritrovarsi bloccati domani. La collettività però dimentica quanto tempo è necessario per formare un operatore qualificato nel settore. Chi è utile al sistema dovrebbe essere incentivato (non costretto): anche negli altri Paesi si va in quiescenza, ma le leve per mantenere in servizio i soggetti ritenuti indispensabili al funzionamento dell’organizzazione aziendale sono sicuramente più concrete (chi è utile deve essere premiato a rimanere, gli altri se abbandonano possono offrire un’occasione per il rinnovamento). A quote elevate si va in debito d’ossigeno

Anche in questa finanziaria le rivendicazioni sono molteplici: per le quote della pensione si può dire che hanno dato i numeri. Si andrà a formare il partito di quota 100 (che peraltro è costata molto meno delle previsioni), di quota 102, di quota 104 e via di questo passo: una serie di braccio di ferro inconcludente che lasciano il dubbio che siano solo proteste di facciata, mentre la realtà già prevede un’infinità di eccezioni per cui la discussione rischia di essere dissociata dalla realtà (si scrive 67, ma poi tanti riescono ad aggirare il limite). L’unica proposta sostenibile è quella dell’INPS che, per bocca del suo presidente Pasquale Tridico, suggerisce di mandare in pensione chi lo richiede, in base a quanto versato e in base alle aspettative di vita (fissate dalle tabelle di sopravvivenza che, causa covid non sono migliorate in quest’ultimo periodo). Secondo le tabelle ISTAT la pandemia ci ha rubato un anno di attesa di vita, quindi se il sistema fosse razionale, dovremmo andare in pensione un anno prima. Dato non rilevato neanche dai partiti e dai sindacati che si limitano a rivendicare tante aspirazioni condivisibili, ma che si schiantano contro i limiti della finanziaria. A dire il vero neanche quando fu introdotta la cosiddetta legge Fornero si organizzarono grandi manifestazioni di protesta, però si era in un periodo di crisi. Oggi dovremmo essere in una fase espansiva (ammesso che non riescano a rovinarla le carenze di rifornimento e le lentezze decisionali), ma l’opinione pubblica è decisamente più aggressiva e potrebbe mal accettare un atteggiamento supino. Mario Draghi, allievo di Federico Caffè (grande ed indimenticabile economista), è intoccabile, ma rimanere inerti rischia di lasciar spazio a reazioni estremiste non più controllabili e su questo, anche gli intoccabili dovrebbero rendersene conto, onde non accrescere i contrasti sociali. Da notare, a latere, che la riforma della pensioni è in questo momento nelle mani di ministri già tutti in età pensionabile: parrebbe inelegante inserire clausole che prevedano l’impossibilità a chi va in pensione di effettuare altri lavori (escluso quello di ministro). Il problema è, e rimane, quello di creare lavoro, non di impedirlo o di costringerlo con la forza.

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