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Passaporto vaccinale nelle pieghe della piaga burocratica

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |

Ci mancavano i dubbi e i vincoli delle presunta tutela della privacy a bloccare uno strumento che sicuramente avrebbe aiutato a ripartire. Bisogna tornare ai tempi di Maria Antonietta e le sue leggendarie brioches da consumare al posto del pane, per ritrovare una dissociazione così forte con la realtà. Combatte il virus e i suoi effetti economico-sociali è già di per sé difficile, senza aggiungere ulteriori lacci e lacciuoli pretestuosi, trascurando invece gli studi scientifici a tutela dei cittadini. Sull’incommensurabile indispensabilità dei vaccini non si discute, ma purtroppo la loro validità (e non solo quelli anti Covid-19), non è etern. Gli anticorpi “IgG quantitative” che generano i vaccini presentano una durata limitata. anzi. C’è di più: alcuni (per fortuna rarissimi) soggetti probabilmente non rispondono in modo sufficiente alla somministrazione (i cosiddetti “non responder”) e per gli altri non è detto che la carica anticorpale si mantenga costante nel tempo. Un fenomeno da monitorare non da demonizzare. Il DIRMEI (Dipartimento interaziendale malattie ed emergenze infettive) non autorizza il controllo degli anticorpi IgG anti coronavirus ai dipendenti già vaccinati nei laboratori pubblici; però questi stessi soggetti eseguono il dosaggio nei laboratori privati a pagamento. Le società scientifiche di settore (SIBIOC, SIPMeL) hanno fornito delle linee guida per interpretare i risultati ottenuti, ma non vengono assolutamente ascoltate. Si corre così il rischio che i primi vaccinati riceveranno il passaporto quando saranno trascorsi più di sei mesi di validità del passaporto medesimo innescando una strana rincorsa tra burocrazia ed efficacia clinica. La durata dei vaccini

La necessità di giungere velocemente a poter disporre di vaccini, non ha permesso di sviluppare adeguate conoscenze sugli effetti che questi possono esercitare su alcune coorti di soggetti. L’attenzione si è concentrata sui rarissimi casi di trombosi o di altri effetti collaterali al vaccino, senza focalizzarsi su altri elementi quali la durata della copertura vaccinale. Nessuno conosce il futuro e quindi nessuno può sapere con certezza se un prodotto può dare reazioni non volute nel tempo (il caso del Lipobay che cominciò a manifestare reazione non volute solo dopo 10 anni della sua messa in commercio). La società deve interrogarsi se attendere 10 anni per verificare eventuali controindicazioni di un farmaco o prescriverlo attivando nel contempo accurate azioni di monitoraggio. Per nessun preparato farmaceutico, ma in particolare per i vaccini, attendere 10 anni è semplicemente improponibile, se si vuole salvare la nostra società e i milioni di persone che la compongono. Sarebbe già possibile monitorare il fenomeno con l’analisi degli anticorpi dei soggetti vaccinati a step periodici: dai primi risultati si rileva una veloce decadenza degli anticorpi, ma in modo alquanto differente tra persona e persona. Il rischio che una persona vaccinata non abbia risposto o che la copertura decada velocemente potrebbe coinvolgere una componente significativa della coorte dei vaccinati che sentendosi protetti potrebbero contagiarsi e fungere da propagatore, mettendo a rischio tutte le persone con cui vengono in contatto. Il problema è ben conosciuto tra agli operatori, in quanto riveste sistematicamente tutti i prodotti farmaceutici immessi in commercio, ma nel caso di una patologia infettiva la responsabilità cresce esponenzialmente. Diventa quindi un problema di programmazione sanitaria avviare tempestivamente le azioni di monitoraggio, compromettendo l’illusione che una volta vaccinati il problema sia risolto, prevenendo ulteriore diffusione, salvando così una moltitudine di persone e rispondendo all’etica che dovrebbe sempre guidare la ricerca scientifica in ambito sanitario. “Covid pass” liberi tutti?

La somministrazione di milioni di vaccini è un passaggio obbligato per superare la fase acuta della pandemia e creare le condizioni affinché le persone a bassissimo rischio possano circolare liberamente, ridando così un po’ di ossigeno a settori bloccati dal lockdown. Di qui l’idea di creare documenti certificativi (il cosiddetto “Passaporto sanitario” o “Covid Pass” o “Digital Green Certificate” e altri ancora) che permetta alle persone di circolare liberamente. La Commissione Europea ha già presentato una proposta per la creazione di un “lasciapassare” che, stabiliti i parametri di non pericolosità, consenta (a chi è vaccinato, chi ha superato il Covid o chi è negativo al tampone) di spostarsi liberamente ed il Commissario Breton ha annunciato che il passaporto sanitario sarà operativo entro fine giugno. Il problema è però d’individuare per quanto persista detta situazione in modo che il passaporto abbia una durata tale da ammortizzare i costi (e i dolori) necessari per ottenerlo (tamponi, prelievi, analisi, gestione burocratica etc.). La situazione socioeconomica è tale per cui non si può guardare se non con auspicio la Digital Green Certificate, ma sarebbe illusorio pensare che questa possa diventare la panacea per tutti mali, specie se non viene adeguatamente preparata da apposite banche dati e prima ancora da rilevazioni epidemiologiche di massa sulla permanenza degli anticorpi (di cui già si dispone di apposito know how). Bisognerebbe anche chiedersi se una Green Card Certificate sia davvero necessaria e non basti semplicemente il certificato vaccinale o il referto del tampone o la certificazione di guarigione dal Covid. La burocrazia italiana sta forse infettando anche l’Europa? È necessario che tutti i laboratori pubblici siano autorizzati ad eseguire i dosaggi degli anticorpi IgG quantitativi con metodi marcati CE e validati dalle principali società scientifiche; che le regioni propongano un protocollo per questi test con una periodicità di controllo comune a tutti (ad es. dopo 3, 6 e 9 mesi dalla completa vaccinazione) per valutare in modo omogeneo tutti i cittadini vaccinati e creare una banca dati per decidere quando rifare il vaccino per mantenere una protezione costante nel tempo. Tutto ciò richiede un coinvolgimento dei professionisti di laboratorio e delle direzioni sanitarie e non solo dei politici; è un lavoro di governance complessiva che per ora nessuna nazione è riuscita a realizzare, ma che trattandosi di pandemia non può non avere un valore sopranazionale. In ultimo, confidando che almeno su questo non si scateni la bagarre su chi può ottenerlo per primo).

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