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Non basta un Drago per risolvere i problemi se non si riforma il sistema

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi |

Siamo al paradosso che il legislatore si trova obbligato, per garantire la funzionalità del sistema, a emanare i cosiddetti scudi penali per proteggere i cittadini onesti e professionalmente preparati dalle norme emanate dello stesso sistema. In questo contesto la luna di miele tra il neo premier e il borbottio dell’italiano medio forse non è ancora finita, ma si comincia a rilevare qualche crepa almeno , da alcuni titoli di giornali critici sull’operato di Draghi. Ma che cosa ci si immaginava? Forse che una persona, per quanto preparata, potesse risolvere in pochi giorni quello che nessuno, in nessuna parte del mondo, in più di anno è riuscito a risolvere? Sino ad oggi – ed è una constatazione oggettiva – la soluzione in tempi rapidi dei problemi è pura propaganda che nella realtà si traduce in provvedimenti confusi e contraddittori. Salvare tutto o riqualificare?

Il ricevere ristori, sostegni e prebende varie, senza lavorare permette a molte persone e a molte imprese di sopravvivere in un momento di crisi con la speranza di ritornare ad operare, se e quando si tornerà alla normalità. Taluni, veloci ad approfittare della situazione, e grazie a qualche artificio finanziario, forse riusciranno anche ritrovarsi più ricchi, ma se si avrà la capacità d’individuare una nuova visione socio-economica solo il mantenere in vita l’esistente potrebbe anche non risultare sufficiente (e avrà fatto sprecare molte risorse). Se le crisi possono essere considerate dei “compressori” di energia (in quanto non permettono alle potenzialità presenti nella società di esprimersi al meglio), il loro superamento, si spera, riuscirà a ricreare innovative scale di valori maggiormente orientate al benessere collettivo (quest’ultimo inevitabilmente accantonato nei momenti di difficoltà, soffocato dall’egoismo di parte). Ma perché ciò accada occorrerà liberarsi di alcune tossine presenti nel sistema e ciò poco si concilia con il mantenere il tutto in vita senza selezionare ciò che è realmente utile alla funzionalità del sistema e ciò che assorbe risorse senza restituire utilità (rendite di posizione). Qualche effetto positivo questa crisi lo sta provocando: ad esempio i Riders hanno acquisito la dignità di lavoratori, mentre altri che hanno manifestato un eccesso di tutela dei propri privilegi, sono stati costretti a fare marcia indietro. Le capriole del legislatore

Il sommarsi di regole confuse e contradditorie stanno obbligando a porre rimedi che però rischiano di generare ulteriore caos: gli scudi penali e fiscali sono la dimostrazione, fornita dallo stesso legislatore, che il sistema legislativo rischia di essere, alla prova dei fatti, pernicioso. Di qui il paradosso della necessità di proteggersi dalle leggi e ora anche il legislatore se ne rende conto se vuole garantire la funzionalità del sistema. Così come il sistema deve proteggersi da quei solerti funzionari che per compiacere il livello gerarchico superiore sono disposti a falsificare i dati della pandemia (come sembra sia successo in Sicilia). Ancora più inspiegabile è la sentenza, in pieno periodo di pandemia, che sancisce che la menzogna nelle autocertificazioni per poter circolare non costituisce reato. In altri termini, lo Stato emette una norma e poi autorizza i suoi cittadini a non rispettarla tramite una semplice auto-dichiarazione palesemente menzognera (concetto difficile da conciliare con quello della “certezza del diritto”). I vaccini è meglio produrli che sequestrarli

Di difficile comprensione è anche la gestione dei vaccini dove l’attenzione si è rivolta a discutere sull’interpretazione delle regole contrattuali sottoscritte con le Big farma che non su come produrre di più, in condizioni di sicurezza (gli accordi tra le ditte produttrici si realizzano e si sciolgono con relativa facilità, mentre gli Stati faticano a ragionare in termini economici). Sfrondato dalle polemiche inutili, pochi sono stati gli approfondimenti sul se e sul come gli Stati potessero richiedere di poter (dietro adeguato indennizzo) utilizzare i brevetti in capo alle singole aziende farmaceutiche per una questione di “interesse nazionale”, qual è la tutela della salute minacciata dalla virulenza di una patologia. Si è preferito ricorre al sequestro dei vaccini (dove uno Stato rischia di sequestrare i vaccini dell’altro Stato), anziché produrre vaccini, non rendendosi conto che il sequestro è un’operazione “una tantum”, il predisporre una linea produttiva è un’operazione programmatica. In questa incapacità decisionale s’insinua la ricerca di contrapposizione tra “aperturisti” e “rigoristi” che genera l’alternarsi di provvedimenti tra loro contraddittori non sempre in raccordo con i dati epidemiologici, ammesso che nessuna delle due fazioni riesca a condizionarli a favore delle proprie posizioni dogmatiche.

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