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#Next Generation Italia: le condizioni per la ripresa

di Anna Paschero|


La convinzione che sembra predominare nel dibattito politico italiano è quella che, con lo strumento #NEXT GENERATION EU, più noto giornalisticamente come “Recovery Fund, arriveranno nel nostro Paese consistenti risorse finanziarie, di cui buona parte in regalo e senza particolari condizioni da rispettare. Nella realtà tali risorse non sono affatto gratis e le condizioni per averle e poterle spendere sono ben indicate nei documenti ufficiali della UE.

Una prima bozza del Piano nazionale è stata approvata dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio 2021 e, secondo le stime, potrebbe aumentare il PIL italiano di 3 punti percentuali. Il Piano può contare su 223,9 miliardi di euro, il cui programma di utilizzo si articola, attualmente, in sei macro – missioni e una cinquantina di linee di intervento. Tale programma dovrà presumibilmente essere rivisto dal nuovo governo Draghi in via di formazione, su cui tende a convergere il consenso della maggioranza delle forze politiche dell’arco costituzionale, ma anche di gran parte dell’opinione pubblica e del mondo della produzione. E dovrà essere rivisto anche sulla base del contenuto del Regolamento approvato il 10 febbraio scorso, che riguarda il dispositivo più importante del Piano, quello per la ripresa e la resilienza che consta di 672 miliardi di euro sui 750 del Piano. Il Piano nazionale dovrà essere abbinato ad un robusto piano di riforme, perché le linee di investimento dovranno essere associate all’adozione di una strategia di riforme di sistema, come elemento “abilitante” e catalizzatore, in linea con le “raccomandazioni” fatte all’Italia dalla Commissione Europea nell’ultimo semestre europeo. L’adozione delle riforme diventa quindi vincolante e parte integrante dell’attuazione del Piano nazionale che dovrà essere anche strutturato coerentemente con gli obiettivi del Green Deal, il grande progetto UE per la sostenibilità. Un compito di non facile attuazione se si considera che alcune delle riforme, sono in attesa di essere completate da anni, come quella delle relazioni tra governo centrale, regioni e amministrazioni locali, il cosiddetto “federalismo fiscale”, dove manca ancora la definizione di parametri chiave per alcune funzioni. C’è poi la riforma della fiscalità e del catasto, con l’attenzione dell’Unione puntata sulla persistente ed elevata evasione fiscale diffusa nel nostro Paese e stimata in oltre 109 miliardi di Euro all’anno. Ancora: la riforma della giustizia, dove la scarsa efficienza del sistema italiano resta problematica per i tempi di risoluzione dei contenziosi civili e commerciali, tempi ampiamenti superiori a quelli medi della UE. Ma, altrettanto necessaria, è la riforma della Pubblica Amministrazione, che sarà chiamata a interagire con i propri diversi livelli di governo, nazionale e locali, per la gestione delle consistenti risorse del Recovery Fund in presenza di scarse e obsolete competenze e di troppa burocratizzazione. All’Italia l’Unione Europea chiede, oltre alla realizzazione di importanti riforme di sistema, di tenere in debito conto le “raccomandazioni” fatte durante il processo del semestre europeo: prima di tutte quella che riguarda l’elevato debito pubblico italiano, che rappresenta una fonte di vulnerabilità per l’economia e un rischio per lo stesso bilancio, l’alto tasso di disoccupazione, soprattutto femminile e dei giovani, gli insufficienti investimenti nel capitale umano con la spesa per l’istruzione e la formazione più bassa dell’UE; le disparità regionali soprattutto tra nord e sud d’Italia. Le oltre cento pagine della Relazione della Commissione Europea che riportano le “raccomandazioni” rivolte all’Italia, nel corso del processo del semestre europeo, forniscono al lettore un’immagine della realtà italiana non certo confortante. In ultimo, l’utilizzo delle risorse straordinarie dovrà essere rivolto a investimenti “buoni”, capaci di generare valore aggiunto, i cui effetti sul territorio dovranno essere misurati per ottenere il disco verde della Commissione, secondo l’effettivo potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e la resilienza sociale ed economica, oltre che dell’effettivo contributo alla transizione verde e digitale. Per quest’ultimo aspetto il neo regolamento approvato dal Consiglio prevede che le misure incluse nel Piano a sostegno degli obiettivi climatici debbano rappresentare almeno il 37% dell’assegnazione del piano per la ripresa e la resilienza e quelle per la spesa digitale almeno il 20%. Ma, soprattutto, gli investimenti per essere rimborsati dovranno essere realizzati entro la fine del 2026. E quest’ultimo requisito rappresenta forse la sfida più importante per l’Italia, che ha dimostrato di essere lo stato europeo, penultimo solo alla Croazia, per la capacità di spendere i fondi strutturali dell’ultima generazione 2014 -2020. Un vulnus preoccupante per la credibilità stessa del nostro Paese. Condizioni, quelle descritte che, qualora venissero osservate potrebbero diventare un’occasione unica per cambiare profondamente e in meglio lo Stato italiano. Il termine ultimo per la presentazione dei PNRR a Bruxelles è fissato al 30 aprile 2021. È evidente che l’approvazione del “piano di ripresa e resilienza italiano” da parte delle istituzioni europee e l’efficiente e adeguato utilizzo nazionale delle risorse finanziarie, derivanti da questa auspicabile approvazione, richiederanno un forte investimento politico istituzionale, condizione necessaria per recuperare fiducia fra gli Stati membri e fra l’Unione europea e i suoi cittadini.

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