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Migranti a chiamata: carne da macello nelle dispute tra Stati

di Germana Tappero Merlo|


I migranti sono un’arma di pressione, di destabilizzazione e di ricatto, formidabili per impatto politico e per quello emotivo. Da tanto tempo, in tanti luoghi1. Ce lo hanno insegnato le tragedie nel Mediterraneo di questi anni, dalla Libia e dalla Tunisia, con le narrazioni dalle prigioni a cielo aperto dei campi profughi in Turchia e poi in viaggi come disperati, osteggiati, presi a randellate, e riscattati. E ora le cronache di quelli ingannati da un falso richiamo di ‘porte aperte’ ma, di fatto, ricacciati indietro sulle coste marocchine.

Nel nuovo millennio, il primo a darci, a noi europei, una lezione in tale senso fu Gheddafi quando, nel 2004, ottenne la revoca delle sanzioni da parte della UE, usando il nostro terrore di ondate migratorie e l’arrivo in massa di un quel ‘qualcos’altro’, percepito da molti, in Occidente, come un pericolo economico e sociale, e addirittura da alcuni come la minaccia estrema alle identità nazionali o a quella continentale di questa parte di mondo, bianco, cristiano e (illusoriamente) autosufficiente. È poi stata la volta della Turchia e la sua richiesta di miliardi di euro: per alcuni, anche nella stessa UE, un giusto corrispettivo per il suo farsi carico di disperati. Vero, seppur lo stesso Erdogan non abbia mai smesso di combattere su quei fronti da cui provenivano quei disperati. Un procacciare territorio per sé e merce di scambio, di ricatto, verso Bruxelles. Non da meno ciò che rappresenta l’intera vicenda dei migranti dalla Libia, dalle mille implicazioni politiche, economiche, sociali, ovviamente militari, di difesa di confini europei, ed addirittura criminali-mafiose. Ormai storie note, raccontate in fiumi di inchiostro andato perso nella retorica buonista e inconcludente della UE e in quella crudele e malvagia dei sovranisti e dei complottisti.Ora, la tragedia consumata in questi giorni sulle coste del Marocco ripropone le solite scene di un’umanità che spera in un futuro differente da quello prospettato nei loro paesi d’origine, per lo più dell’Africa subsahariana. La Spagna blinda i suoi confini, l’Europa risponde che non si farà intimorire da chi strumentalizza la questione dei migranti in quella che è, a tutti gli effetti, una migrazione coercitiva progettata. Perché Bruxelles è ben consapevole che dietro all’ennesimo grave ‘attentato alla stabilità’ dei confini spagnoli ed europei vi è, appunto, quel metodo ricattatorio che il Marocco pare aver imparato dalla Turchia e dalla Libia, e che impiega contro la Spagna. E paiono anche chiare le cause dell’attrito, quella questione mai risolta del Sahara Occidentale2, riemersa con atti, seppur sporadici, per ora, ma cruenti, fra guerriglieri del Fronte del Polisario e forze armate marocchine, con azioni anche di puro terrore perpetrate da infiltrazioni jihadiste. Gli 8000 disperati lasciati passare dal Marocco verso l’enclave spagnola di Ceuta sarebbero quindi la risposta di Rabat all’accoglienza di Madrid, in un suo ospedale, di quel Brahim Ghali, anziano e malato leader del Fronte del Polisario (FP), appunto, nemico del sovrano marocchino Mohammed VI, ma soprattutto amico fraterno di Abdelmadjid Tebboune, anziano presidente dell’Algeria che accoglie guerriglieri del FP, le sue genti, i Sahrawi, ossia quegli arabi-berberi che reclamano la regione del Sahara Occidentale come loro Stato autonomo da Rabat e che vivono, dalla metà degli anni ’70, in campi profughi nella provincia algerina di Tindouf. Guerriglieri che Algeri sponsorizza militarmente anche perché strumentali, fra gli altri scopi, nel raggiungere il suo ambizioso obiettivo di avere accesso all’Oceano Atlantico. Le pesanti influenze esterne alla questione del Sahara occidentale sono note, basta informarsi: si va da un lato dalla Turchia, Pakistan e Iran a supporto dell’Algeria e del FP e, dall’altro, da Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Bahrein pro Marocco. I soliti noti attori, protagonisti di quell’instabilità che da tempo scuote il Vicino Oriente, il Nord Africa sino alla sua sponda a sud del Sahara: soggetti che hanno approfittato di un vuoto creatosi dopo il fallimento delle primavere arabe, scoppiate esattamente dieci anni fa. Una guerra economica e commerciale, fra fronte musulmano non-arabo contro quello musulmano arabo, in cui si mescolano ambizioni di proiezioni di potenza e di guida anche religiosa dell’Umma. Perché, è noto, la politica internazionale non ammette vuoti di potere e di leadership, e trova subito chi li colma e non sono più, da tempo, entità di fulgido esempio democratico. Se l’UE non prende coscienza di questo sporco gioco di potenze e di vile ricatto sulla pelle di un’umanità disperata, le scene di fagottini recuperati in mare, di corpi galleggianti o di individui scalzi e stremati sui nostri moli, saranno nostre compagne a lungo. La consapevolezza richiede conoscenza dei fatti e delle trame che li supportano. E forza di reagire ad un ricatto per non soccombervi. Non è difficile capirlo. Ma, a quanto pare, è più semplice e addirittura tollerabile, sino alla cinica assuefazione, subirlo._______

1K.M.Greenhill, Armi di migrazione di massa. Deportazione, coercizione e politica estera, LEG, Pordenone 2017. 2https://www.laportadivetro.org/a-volte-ritornano-la-guerra-del-polisario/

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