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Maastricht trent’anni dopo: pandemia e sanità transfrontaliera

di Gian Paolo Zanetta |


Frase Il 7 febbraio del 1992, a Maastricht, un piccolo centro sulle rive del fiume Mosa nei Paesi Bassi, la “nuova” Europa gettava le basi di un progressivo allargamento che l’avrebbe portata a dirigere attraverso l’Unione Europea la vita di oltre 500 milioni di persone. Il Trattato fu firmato trent’anni da dodici paesi, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, ed entrò in vigore il 1° novembre del 1993. Maastricht fu il naturale proseguimento del Mercato comune Europeo (Mec) nato con i Trattati di Roma nel 1957, favorito dalla caduta del Muro di Berlino e dalla volontà di superare le tensioni della Guerra fredda. Sappiamo altrettanto, e lo si è verificato quotidianamente, che a distanza di trent’anni da quello storiche firme, non si è ancora realizzata l’Europa che vorremmo e auspicata dai grandi padri dell’europeismo: solidarietà e sussidiarietà di fondo, accoglienza, integrazione politica, economica e finanziaria, unità reale nelle grandi questioni internazionali, dalla sicurezza alla difesa. Ma all’orizzonte non si intravvede la necessaria evoluzione dei rapporti tra gli Stati Membri. Condizione imprescindibile per costruire un’autentica identità europea e svincolare l’Unione Europea dai troppi lacci e lacciuoli che ne pregiudicano lo sviluppo e l’indispensabile riequilibrio dei poteri con gli Stati Membri. Ad un tempo, è stata proprio la pandemia, lo stato d’emergenza in cui si è immersi da due anni, a mostrare l’importanza di ritrovarsi attorno allo stesso tavolo per adottare soluzioni comuni a tutela della salute. Un elemento di svolta imprevisto, se vogliamo, che gli Stati Membri ora devono sapere sviluppare e tradurre in un dato politico innovativo, come sostiene Gian Paolo Zanetta nell’articolo che segue. La Porta di Vetro

La crisi sanitaria ha fatto emergere l’importanza e la concretezza dell’azione, condotta a livello europeo e diretta a due obiettivi: consolidare una strategia di intervento comune in campo sanitario e definire un programma di intervento finanziario, senza eguali nella storia, con risorse che saranno fondamentali per la salvaguardia del tessuto sociale del continente. Oggi l’apprezzamento di quanto fatto dall’Europa trova riscontro nelle valutazioni dei cittadini, anche in quei Paesi che sembravano più critici o tiepidi rispetto alla possibilità di un ruolo efficace delle istituzioni sovranazionali. Dopo una prima fase di smarrimento, dovuta soprattutto alla eccezionalità della situazione, l’Europa ha saputo recitare la sua parte e diventare punto di riferimento nelle politiche di coordinamento sanitario. L’elemento vincente è stata l’individuazione di una strategie europea di contenimento dell’espandersi della pandemia, unita ad un’azione concreta di tutela sanitaria, nonché una battaglia storica per stimolare la ricerca e consentire l’introduzione rapida dei vaccini, passaggio fondamentale per la sconfitta del virus. Credo che sia obbligatoria la domanda su cosa sarebbe potuto succedere, con la pandemia in atto, in assenza di Europa. Ma questo è l’oggi: ed il futuro? Credo che sia indispensabile riprendere la battaglia per il rafforzamento del ruolo delle istituzioni europee nelle politiche sanitarie, ammodernando il contesto giuridico di riferimento. Occorre in sostanza procedere ad un nuovo approccio all’articolo 168 TFUE, ponendosi l’obiettivo di una strategia europea più incisiva in materia di protezione della salute umana: oggi il suddetto articolo limita il margine di manovra dell’Unione nei confronti degli Stati Membri, consentendole solo lo svolgimento di politiche sanitarie di completamento dell’azione dei singoli Stati, di incoraggiamento dell’azione di integrazione e di cooperazione, di promozione di politiche di coordinamento. In sostanza, si deve uscire da un quadro normativo che oggi limita il margine dei manovra europeo (si pensi al silenzio in materia ambientale), per introdurre norme che vedano un ruolo centrale della UE nella tutela della salute, anche attraverso più forti deleghe degli Stati Membri, inizialmente in settori quali gestione epidemie ed emergenze, prevenzione, con un forte collegamento ai temi ambientali, cronicità, disabilità. Una riflessione di fondo supporta questa proposta: la salute, i cui paradigmi sono in grande cambiamento (all’epoca dei trattati l’ambiente non era ancora centrale nelle politiche nazionali), è un prerequisito per il funzionamento della nostra società e della nostra economia ed è quindi urgente costruire un’Unione Europea della salute, se si vogliono salvaguardare i principi costitutivi della stessa. Lo spunto è fornita dalle recenti disposizioni in materia di sanità transfrontaliera. L’Unione Europea ha già fatto, nel decennio trascorso, un importante passo nella direzione auspicata. La Direttiva 2011/24/UE, recepita in Italia con dlgs.4 marzo 2014 n.38, ha normato l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera e regolamentato la mobilità dei pazienti nel territorio comunitario. Sono due gli scopi principali della Direttiva: stabilire le condizioni subordinatamente alle quali un paziente può recarsi in un altro paese dell’Unione Europea per ricevere un’assistenza medica sicura e di qualità, che possa essere rimborsata dal proprio regime di assicurazione malattia, ed in secondo luogo incoraggiare la cooperazione tra i sistemi nazionali di assistenza sanitaria. Molto spesso ai cittadini europei era impedito il ricorso a prestazioni sanitarie in paesi diversi di quello di appartenenza e solo sentenze della Corte consentivano il superamento dei divieti. Si pensi ancora alla difficoltà delle comunità di confine di poter usufruire di prestazioni nel paese confinante, in presenza di strutture più facilmente raggiungibili e dotate di servizi adeguati. Il provvedimento, nei suoi punti chiave, supera gli impedimenti del passato. Infatti, il Paese dell’Unione che fornisce la cura deve garantire che i pazienti ricevano tutte le informazioni necessarie per effettuare una scelta informata e che agli stessi vengano applicati gli stessi onorari per l’assistenza sanitaria applicati ai pazienti nazionali. Per sommi capi, ricordiamo che sono previsti punti di contatto nazionali per fornire informazioni e per consultare le organizzazioni di pazienti, le assicurazioni, i prestatori di assistenza sanitaria, che forniscono ai pazienti tutte le informazioni necessarie. Al di là delle considerevoli somme stanziate, il significato del provvedimento è chiaramente rappresentato dalla integrazione dei sistemi, resa possibile da una diretta azione del livello europeo destinare a rendere più efficace l’utilizzo delle risorse, finalizzato al lavoro sempre più integrato degli Stati Membri. A questo punto, la domanda che occorre porsi è diretta: possiamo intravvedere, nelle pieghe dei Trattati esistenti, a partire da quello fondamentale di Maastricht, un percorso di maggiore operatività del livello comunitario nel campo della salute ipotizzando un quadro, in cui l’azione della UE non sia limitata al solo coordinamento delle competenze degli Stati membri? Questa è una delle grandi sfide che noi europei abbiamo di fronte.

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