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La socialdemocrazia tedesca al potere per essere se stessa

di Stefano Marengo|

Con il giuramento di Olaf Scholz, nuovo Cancelliere federale, dopo sedici anni di era Merkel, si prefigura una sensibile svolta a sinistra della Germania. Sia chiaro, il percorso che i socialdemocratici hanno scelto di intraprendere non è né scontato, né sarà privo di ostacoli. Alle elezioni di settembre l’SPD è tornato a essere il primo partito del Bundestag, cosa che non accadeva da quasi vent’anni. I seggi conquistati, tuttavia, non sono stati sufficienti per formare una maggioranza monocolore. Da qui la necessità di intavolare trattative con i verdi e i liberaldemocratici per creare la coalizione “semaforo”. Il percorso che i socialdemocratici hanno scelto di intraprendere non è né scontato, né sarà privo di ostacoli. Alle elezioni di settembre l’SPD è tornato a essere il primo partito del Bundestag, cosa che non accadeva da quasi vent’anni. I seggi conquistati, tuttavia, non sono stati sufficienti per formare una maggioranza monocolore. Da qui la necessità di intavolare trattative con i verdi e i liberaldemocratici per creare la coalizione “semaforo”. Nonostante le inevitabili mediazioni e concessioni che queste trattative hanno comportato, quello che ne è risultato è un programma di governo per niente sbiadito, che anzi si qualifica come una proposta chiaramente progressista, senza ambiguità. Tra i punti caratterizzanti ci sono, ad esempio, l’aumento del salario minimo a 12 euro orari, l’istituzione del “Burgergeld” (una sorta reddito di cittadinanza), un piano significativo di edilizia pubblica (si ipotizza la costruzione di 400mila nuovi appartamenti all’anno, in parte sovvenzionati direttamente dal governo federale), misure per calmierare gli affitti, il miglioramento dei servizi di welfare, specie quelli rivolti alle famiglie e ai minori (si prevede, tra l’altro, un massiccio investimento nell’edilizia scolastica), l’aumento del potere d’acquisto delle pensioni, l’introduzione di bonus a favore dei meno abbienti per contrastare il caro bollette, l’incremento della spesa pubblica in settori economici strategici (come il digitale) e, infine, sul fronte delle politiche ambientali, l’impegno ad accelerare il percorso di decarbonizzazione con il conseguente investimento nelle energie rinnovabili. Visto dall’Italia, ciò che più stupisce è proprio la chiara ispirazione progressista di tale programma. Qui da noi predomina ormai da anni l’idea per cui, per accreditarsi come forza di governo, la sinistra debba in qualche modo smettere di essere tale, mettendo da parte o annacquando i propri principi costitutivi e, di conseguenza, i programmi che su di essi dovrebbero reggersi. Lo vediamo bene in queste settimane: le forze di sinistra che sostengono il governo Draghi, a partire dal Partito Democratico, non hanno finora avanzato alcuna obiezione di sostanza nei confronti, ad esempio, di una riforma fiscale che nulla dà ai redditi più bassi e opaca sulla lotta alla evasione fiscale o di una legge sulla concorrenza che privatizza ulteriormente i servizi pubblici essenziali. L’impressione che se ne ricava, in fin dei conti, è che per questa “sinistra” tutto sia accettabile pur di stare al governo e avere tra le mani le leve del potere. Il potere per il potere che alcuni dirigenti non hanno minimamente nascosto in passato, per la verità. Considerato in quest’ottica, il nuovo governo tedesco è il felice esempio di una prassi opposta. Il percorso dell’SPD ci dice non solo che i compromessi al ribasso possono essere evitati, ma anche che le idee della socialdemocrazia possono diventare programma di governo. Ancora di più: si possono vincere le elezioni su basi inequivocabilmente di sinistra, proponendo, tra l’altro, l’introduzione della patrimoniale o l’aumento delle tasse sui redditi più elevati. Tra l’altro, a poco vale l’osservazione per cui l’SPD, con questa piattaforma, ha ottenuto “soltanto” il 25,7% dei suffragi: i verdi, le cui proposte erano analoghe, hanno conquistato il 15% dei voti, con la conseguenza che la sinistra tedesca, anche tralasciando il 5% della Linke, gode oggi di un consenso superiore al 40%. Naturalmente non è il caso di idealizzare il modello SPD. Il programma di governo di Scholz, insieme a innumerevoli pregi, ha anche dei forti limiti, primo tra tutti, sotto il profilo delle politiche europee, l’indisponibilità all’adozione degli eurobond o di altri strumenti di gestione comune del debito, una questione su cui i liberali hanno puntato i piedi fino ad ottenere il ministero delle finanze per il proprio leader Christian Lindner, un falco dell’austerità che per molti versi ricorda il suo più noto predecessore Wolfgang Schäuble. È evidente che si tratta di un tema da cui dipende il futuro dell’UE e su cui il nuovo governo tedesco andrà sfidato, essendo ormai chiaro che il prolungato rigorismo di Angela Merkel ha avuto effetti depressivi e disgregativi sull’intero continente. Comunque sia, anche tenendo conto di questo limite, la svolta nella politica tedesca rimane evidente, e in fondo non è affatto detto che Scholz sarà in grado di pretendere rigore draconiano dai suoi partner europei nello stesso momento in cui aumenterà la spesa pubblica tedesca. Ciò che oggi più conta, tuttavia, è il fatto stesso che la sinistra, in Germania, abbia ritrovato molte delle sue ragioni e le abbia portate al vertice della cancelleria. È un esempio che, se verrà seguito, potrà essere di giovamento a tutti i partiti progressisti europei. Anche alla sinistra italiana, o a quello che ne rimane.

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