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La normalità da conquistare nel discorso di Mario Draghi

di Enrico Martial |

La novità del discorso di Mario Draghi al Senato è nella sua normalità e quindi nella facile comprensione. Il neo Presidente del consiglio, infatti, ha tracciato un perimetro e un percorso – Europa, Atlantismo, democrazia rappresentativa, ripresa – per poi disegnare sia le politiche puntuali, su ambiente, digitale, riequilibri sociali, di genere, di sviluppo, sia le riforme, tra cui quella fiscale, mostrandone la complessità e le necessità di intervento. L’hanno capito tutti, non ha nascosto le parole, ha unito forze armate, protezione civile e volontariato, descrivendo quindi un’idea di Nazione, che ha altrove richiamato attraverso il concetto di cittadinanza e di cittadino. Ancora. Ha crudamente quantificato quanto siamo indietro rispetto al ruolo della donna, nei salari, nelle presenze nei ruoli apicali: sostanza, dunque, e non solo rispetto della forma, della “farisaica” applicazione normativa delle quote rosa. Ha citato Papa Francesco sull’ambiente, unendo l’omaggio e il gesto di rispetto al posizionamento sulle politiche nuove, che sono poi europee e quindi italiane. Ha descritto gli obiettivi numerici da raggiungere per le zero emissioni entro il 2040. Ha parlato di gruppi di interesse, di generazioni, di imprese da valorizzare e altre da accompagnare. Insomma, tutti l’hanno capito. È stato un discorso politico, del “politico finissimo” descritto da Bruno Tabacci, in cui l’esperienza si accompagna a studi e letture interdisciplinari, non solo di economia, ma anche di storia, letteratura, e specifiche, tra cui la scienza della politica. Rispetto al pur buon politico nazionale (e son già pochi), che attinge alla sua formazione universitaria e tecnica – avvocati, architetti – che si è fatto le ossa nella sola esperienza, nelle segreterie ministeriali, nelle campagne elettorali, negli enti locali o nei partiti, siamo qui su un altro piano. Si intravvedono la conoscenza e l’affresco delle vicende nazionali – da cui la citazione di Cavour sulle riforme, assai simbolica – un riferimento all’evidence based decision making, passaggi del dibattito sul pensiero morale contemporaneo. Già nel suo discorso all’Università Cattolica dell’11 ottobre 2019 identificò tre caratteristiche utili alle buone decisioni: la conoscenza, il coraggio e l’umiltà. Il mondo è complesso, la conoscenza è necessaria, ma è obiettivamente limitata dalla disponibilità delle informazioni, dal tempo a disposizione, dalla capacità di interpretarle per capire le possibili conseguenze e trovare le misure per adattarsi alle incertezze. Dunque, si può sbagliare, le decisioni comportano spesso del “coraggio”, e non decidere è sempre decidere qualcosa. Draghi aggiunse allora il riferimento all’umiltà, e in inglese suonerebbe meglio “integrity”, di significato prossimo. In ragione di queste “umiltà” e “integrità” si sono uditi al Senato i richiami alla capacità di ascolto, ma anche all’unità, che diventa un “dovere” e non può essere una semplice opzione. Alla Bocconi nel 2019 spiegava che il mandato ricevuto nell’ambito della BCE andava assolto “integralmente”, assumendone la piena “responsabilità”: un’altra parola che è spesso ritornata nell’aula del Senato. L’unione di conoscenza, coraggio e umiltà ha consentito di introdurre pacatamente e accogliere in tutta serenità nell’agenda nazionale l’idea di una riforma fiscale, senza che molti se lo aspettassero. È stata posta in modo serio e chiaro, come una riforma complessiva che si fa solo ogni tanto – necessaria a decenni di distanza – ben oltre le propagande stile flat tax. Con questo spessore politico, con queste letture e visione alle spalle, i fulmini potevano transitare a bassa voce, sugli sprechi nei padiglioni delle vaccinazioni, mobilitando invece le risorse già disponibili per fare in fretta e bene, o sull’approssimazione di investimenti europei per gli istituti tecnici privi ancora di una riforma. I riferimenti sono Francia e Germania, dobbiamo portarci al loro livello, ricordando che gli altri hanno una considerazione per noi più alta di quella che abbiamo per noi stessi. Con Draghi, l’agenda pubblica acquisisce allora un altro significato, non è un elenco meccanico, sommatoria espressa da interessi giustapposti – come avviene da anni. Diventa nazionale, oppure “repubblicana”, e quest’ultima parola è riapparsa dopo anni di oblio. I progetti diventano tra loro coerenti: leggeremo fra non molto che la nostra alternanza scuola-lavoro è da migliorare, che dobbiamo fare nuovi istituti tecnici superiori, che il numero di ricariche per veicoli elettrici deve raggiungere i livelli francesi e tedeschi, così come i progressi nell’idrogeno. Dobbiamo migliorare nell’assetto del territorio come base per il turismo (non abbiamo corridoi ecologici, per esempio), nei mestieri dell’ambiente e del digitale. Sono tutti temi molto moderni, però disegnati su un impianto e stile politico che non pare del tutto nuovo. Fa piuttosto pensare alla tappa di un percorso, di una continuità che rassicura in una storia patria assai martoriata, con pochi protagonisti decisivi nei momenti critici, di cui uno era proprio Cavour, che giustamente Draghi ha per primo citato.

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