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La “falsa scomparsa” del virus e il desiderio di normalità

di Giuseppina Viberti |


I gravi eventi di guerra in Ucraina hanno spostato l’attenzione dei media e l’interesse per il Covid è decisamente ridotto. Questo atteggiamento induce nell’opinione pubblica la convinzione sbagliata che la fine dello stato di emergenza corrisponda alla scomparsa del virus. La maggior parte della popolazione è vaccinata, anche se permangono fasce di età, soprattutto fra i 5-11 anni, con un tasso di vaccinazione estremamente basso e quasi 2 milioni di over 50 non vaccinati oppure senza la dose booster e, secondo molti italiani, le nuove varianti saranno sempre meno aggressive e quindi ci stiamo per lasciare tutto alle spalle. Sicuramente è quello che tutti vorremmo, ma non bisogna lasciarci trascinare dai desiderata e prendere atto che in Cina si torna ad attuare il lockdown per 17 milioni di persone.

Un’analisi epidemiologica della situazione rileva ancora molti dubbi; la situazione ha rilevato un netto miglioramento ma la circolazione del virus è ancora molto elevata; dopo cinque settimane di discesa i contagi stanno risalendo con quasi 40.000 nuovi casi al giorno, oltre 1 milione di positivi e un tasso di positività dei tamponi arrivato a superare il 12 %. Illusioni e realtà epidemiologiche

L’ennesimo incremento di contagi presenta varie cause: la popolazione ha ridotto l’uso delle mascherine e il distanziamento sociale sia all’aperto e che al chiuso, la persistenza del freddo, il calo della protezione vaccinale dopo qualche mese dalla dose booster e la presenza di una nuova sottovariante di Omicron, denominata BA.2 decisamente più contagiosa. Sarà necessaria una decina di giorni per capire se siamo di fronte ad una quinta ondata o a un semplice risalita stagionale, senza conseguenze: per ora non c’è un aumento di ricoverati nei reparti ordinari e nelle rianimazioni tale da mettere nuovamente in crisi il sistema sanitario. La fine dello stato di emergenza al 31 marzo coincide con la gestione “ordinaria” della pandemia da parte delle Regioni e con il passaggio di una serie di compiti e responsabilità che erano in capo alla struttura del commissario, il generale Figliuolo, e all’unità di crisi. Il rischio è che si vada verso 20 modi diversi di attuazione dei piani sanitari, in quanto ogni Regione deciderà come affrontare i testi di screening negli ospedali e sul territorio, i controlli sui degenti e sul personale Asl e Aso. Appare quasi scontato che si dovrà predisporre una campagna vaccinale autunnale e bisognerebbe simulare le risorse che si renderanno necessarie, mentre oggi si sta prospettando una riduzione dei cosiddetti contratti Covid (con scadenze diverse da azienda ad azienda, da regione a regione) generando situazioni difformi e dissimili. Tecnicamente la circolazione “endemica” del virus si ha quando, nel momento di massima circolazione, non c’è sovraccarico: i coronavirus sono stagionali in autunno-inverno e quindi per definire il virus “endemico” dovremo aspettare ottobre-novembre. In primavera-estate, godiamo di una situazione favorevole (clima caldo e copertura vaccinale ancora elevata), ma da fine settembre avremo una situazione opposta (freddo e bassa copertura vaccinale). Sarà ipotizzabile una nuova vaccinazione per i soggetti anziani (da quale età: 50 anni o 60 anni?) e per i fragili di ogni età. E soprattutto con quale tipologia di vaccino? Le ditte produttrici stanno lavorando ad un nuovo prodotto adattabile alle nuove varianti: il vaccino attuale è stato preparato sulla base del virus di Wuhan e deve, per funzionare a lungo, essere modificato ma non si può essere sicuri su quando verrà sintetizzato e prodotto in grandi quantità. Rimane apertissima la questione sui Paesi poveri (nonostante la mobilitazione di OMS e UE in “Il vaccino per i Paesi poveri esiste, ma ora chi lo produrrà? del 30.01.2022 Vaccino per i Paesi poveri, prime intese con l’UE del 27.02.2022) che è assolutamente indispensabile se si vuole sperare che la pandemia sia finita: possibilità per ora ancora lontana. Nuovi rischi e pericoli

A ciò si aggiunge il problema dei profughi ucraini. Dalle informazioni inviate dal Ministero della Salute, solo il 35% della popolazione è vaccinata per Covid, il che rappresenta uno dei tassi di vaccinazione più bassi d’Europa. I motivi sono numerosi: difficoltà organizzative e di approvvigionamento dei vaccini, sfiducia nello Stato e nella scienza, motivi religiosi. I profughi che arriveranno in Italia saranno in un numero non prevedibile, ma sicuramente inferiore a quelli giunti in Polonia e nei Paesi confinanti; immaginare ora lo sviluppo di nuove varianti pericolose è molto difficile anche se l’elevata circolazione virale e i bassi tassi di vaccinazione sono sicuramente condizioni pericolose. A preoccupare è soprattutto il basso tasso di vaccinazione di routine (morbillo, parotite, rosolia, epatite B, poliomielite, TBC, difterite, tetano, ecc.) nei bambini e negli adulti che hanno causato in Ucraina focolai epidemici di morbillo nel 2019 e di poliomielite iniziato nel 2021 e ancora in corso. La polio scomparsa in Italia (ultimo caso descritto di importazione nel 1983) costituisce un pericolo da non sottovalutare, per cui si renderà necessario organizzare controlli frequenti con i tamponi, offrire la vaccinazione per Covid e per le altre malattie: un problema ineludibile per la sanità pubblica. La volontà di superare la pandemia non ci deve portare a sottovalutare le possibilità di un suo ritorno e per questo sarebbe opportuno smettere di giocare nel prevedere il futuro e cominciare a simulare i possibili scenari e a predisporre le risorse adeguate.

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