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Istruzione: a quanti ancora interessa?

di Mauro Nebiolo Vietti|

Il provvedimento del presidente della Campania Vincenzo De Luca che proroga la chiusura delle scuole in Campania fa emergere un suo retropensiero secondo cui l’istruzione non è un bene primario; De Luca non è certo un isolato perché il concetto è largamente condiviso. L’istruzione è necessaria, è anche importante, ma non si tratta di un valore da difendere ad ogni costo. I nostri padri fondatori la pensavano in modo diverso tant’è che nel testo della nostra Costituzione risulta evidente la preoccupazione di garantire a tutti un grado di istruzione idonea in modo che anche i meno abbienti possano aspirare ai gradi più alti ed il legislatore costituzionale si è preoccupato di sottolineare il concetto riprendendolo in più articoli (3-9-34). Si è detto che il pensiero di De Luca è ampiamente diffuso, ma si tratta di un orientamento che fa capo a gruppi politici ove il titolo di studio non è considerato un requisito. Pare che l’unica figura consapevole dei danni che può determinare un’interruzione didattica sia Draghi ed il suo atteggiamento non è solo connesso alla consapevolezza che l’istruzione è un valore primario sancito dalla nostra carta costituzionale, ma anche alla profonda conoscenza del mercato del lavoro che non è certo benevolo verso giovani che hanno studiato a fasi alterne. In Italia la didattica ha già fatto molti passi indietro e molte nostre lauree sono irrise dal mercato del lavoro con la conseguente formazione di una nuova fascia di giovani disoccupati, ma accadono episodi che, pur volendo essere seri, sono in realtà grotteschi. Per l’accesso alla carriera di magistrato occorre una laurea in giurisprudenza ed una partecipazione positiva ad un corso di specializzazione biennale (oppure l’iscrizione all’albo degli avvocati); all’ultimo concorso hanno consegnato gli scritti in circa 3.000 e dalla correzione dei primi 1.532 risultano ammessi agli orali in 88; troppa severità? È difficile immaginare un futuro magistrato in lotta continua con la grammatica e la sintassi, ma ancora peggio accade nel corpo docente. Quelli che non hanno passato (o partecipato) al concorso straordinario semplificato, sulla base di un disegno di legge, potranno accedere all’insegnamento se hanno tre anni di supplenza precarie senza alcun controllo sulla loro formazione culturale o capacità didattica. C’è un’evidente connessione tra quanto sopra e la sospensione delle attività scolastiche con passaggio in dad; quest’ultima è soltanto l’ultima espressione di un sentire diffuso che premia calcoli politici, ricerche di consensi elettorali in una visione che non è di scenario, ma di piccolo cabotaggio. Il governo non ha potuto evitare di prevedere la sospensione in dad delle attività didattiche per classi che riscontrino un certo grado di diffusione endemica, ma ha strutturato il provvedimento come ultima ratio in evidente contrasto con la visione di De Luca che si preoccupa invece di non perdere consensi elettorali di personale scolastico preoccupato in alcuni casi per la propria salute o contento in altri per il momento di relax fuori dagli schemi e la distinzione tra l’atteggiamento di Draghi e quello di De Luca è che il primo considera la sospensione dell’attività didattica un fatto straordinario, mentre per il secondo si tratta di decisione ordinaria. Questo contrasto che fa emergere una divergenza di fondo sui criteri didattici cui si è appena accennato (tra le divergenze aggiungiamo anche quella sul ruolo delle regioni9), che meriterebbero un migliore approfondimento.

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