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I test per il Coronavirus: approfondimenti e valutazioni organizzative (II)

di Giuseppina Viberti e Emanuele Davide Ruffino |


L’incapacità di svolgere analisi economiche in sanità ha ragioni storiche che si sono consolidate nel tempo, ma che nel pieno della pandemia hanno rilevato tutta la loro pericolosità. Ne è testimonianza la difficoltà e l’aleatorietà di correlare il costo dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) con il contenimento della diffusione dei contagi, anche se in questo caso assume rilevanza la capacità “culturale” di supportare un loro utilizzo appropriato e tempestivo: non è cioè determinante quanti DPI si acquistano (o si immagazzinano), ma come e quando vengono utilizzati. Anzi, proprio un malsano senso di operosità dato dall’accumulare disponibilità di materiali (destinati a deteriorarsi con tempo o a diventare obsoleti) o dall’acquisizione di personale non preparato (in sanità la preparazione di un operatore qualificato presuppone adeguati lassi di tempo) fa pensare di aver assolto agli obblighi istituzionali, rischiando così di tralasciare quella che è la necessità di ricercare costantemente un utilizzo razionale delle risorse.

Solo con l’esperienza, si potrà disporre di dati maggiormente performanti nel determinare il corretto uso di risorse: se però, in una prima fase, è accettabile che le diverse strutture abbiano attuato modalità d’intervento altamente differenziate, con la massa di dati acquisita/acquisibile, (grazie soprattutto all’utilizzo dei “big data”), si dovrebbe andare a realizzare un know how per un’efficace azione manageriale. Accumulazione dati e potere decisionale

Per la precisione, con il termine “big data” (grandi masse di dati”, o megadati) si indica genericamente una raccolta di dati informativi così estesa, in termini di volume, velocità e varietà, da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valori o una sintesi di supporto per i “decision maker”. Il termine si riferisce alla capacità di analizzare ovvero estrapolare e mettere in relazione un’enorme mole di dati eterogenei, strutturati e non strutturati (grazie a sofisticati metodi statistici e informatici), allo scopo di scoprire possibili correlazioni tra fenomeni diversi e prevedere quelli futuri.I megadati ricavabili dal lavoro svolto dai laboratori in questi mesi possono mettere a disposizione, tramite tecnologie e metodi analitici specifici di estrazione, una raccolta di informazioni così estesa in termini di volume, velocità e varietà, da supportare efficacemente i decision maker. Tali ipotesi presuppongono ovviamente strumenti informatici adeguatamente dimensionati e, soprattutto, una predisposizione culturale a sviluppare analisi econometriche che in Italia stentano ad sembra affermarsi ai diversi livelli di programmazione e gestione della cosa sanitaria. Le linee guida di Oms e Iss

Nel mentre, si continua un’affannosa ricerca di soluzioni momentanee, che vengono poi contraddette nel volgere di brevissimo tempo. Se interrogassimo la popolazione su cosa serve realmente si registrerebbe una nebulosa di risposte. Come consigliato dall’OMS, e ripreso dall’Istituto superiore di Sanità, occorre praticare in linea generale: 1) il test molecolare su tampone oro/nasofaringeo nei casi sintomatici, se compaiono sintomi nei soggetti in quarantena, nei contatti stretti di casi sintomatici specie se con frequentazione di soggetti fragili. 2) il test antigenico su tampone oro/nasofaringeo prevalentemente come screening periodico per motivi di sanità pubblica (ospiti e assistenti delle RSA, prigioni, operatori sanitari, scuole, ecc.). Consentono di ottenere un risultato rapido e se positivo di isolare immediatamente il soggetto in attesa della conferma molecolare. 3) il test sierologico per ora ha un uso epidemiologico per valutare, se presenti IgG, il numero di soggetti che ha avuto contatto con il virus. I test disponibili non consentono ancora un loro utilizzo diagnostico come accade per l’epatite A, B e C.La diagnostica di laboratorio è in continua evoluzione ed è complicata anche dall’insorgenza di varianti del virus (ad es. la variante inglese) ed è sotto attenta e continua osservazione da parte dell’OMS, dell’ISS e delle ditte produttrici. Il marginalismo: strumento per migliorare l’efficienza del sistema

Il marginalismo è una corrente di pensiero sviluppatasi in ambito economico verso la fine del XIX secolo. A livello teorico, il marginalismo permette di sviluppare un diverso approccio nell’ambito della teoria del valore: in precedenza, l’impostazione classica liberale e marxista, ovviamente con diversi accenti, tendevano ad identificare il valore con la quantità di risorse/lavoro necessaria per realizzare un prodotto. Nell’impostazione marginalista, elaborato dall’economista austriaco Carl Menger (di cui il 26 febbraio ricorrerà il centenario della morte), il valore di un prodotto riflette il grado di soddisfazione soggettiva che i consumatori gli attribuiscono. La soddisfazione, o “utilità”, tenderà, di conseguenza, a diminuire con il consumo di ogni unità aggiuntiva dello stesso bene/servizio: in tale ambito s’inserisce il principio di imputazione indiretto del valore, che rappresenta un primo passo per la teoria della remunerazione dei fattori produttivi in base alla loro produttività, cioè del reale grado di utilità fornito. La teoria del valore sostenuta dai marginalisti è fondata sui calcoli di convenienza formulati dai singoli individui o dalla collettività: il valore di un prodotto è cioè definito sulla base “dell’importanza che il consumatore attribuisce al prodotto stesso”. Sul lato pratico gli studi marginalisti permettono di identificare qual è il maggior benessere aggiungendo un’unità della risorsa oggetto dell’indagine. Più tale risorsa è in grado di soddisfare un bisogno, più il suo consumo risulta funzionale al sistema. Tali ragionamenti, che permettono di rapportare il grado di utilità non in valore assoluto, ma in funzione delle singole specificità, risultano quanto mai opportuni da applicare, specie nelle situazioni di emergenza come quella che stiamo attraversando. Ogni destinazione di risorse, per loro definizione limitate, riduce le possibilità di soluzioni alternative, ne consegue che diventa moralmente obbligatorio porsi il problema.

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