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I farmaci e la negazione delle regole del mercato

di Emanuele Davide Ruffino e Daniela Ielo|


Che non si possa lasciare il prezzo del farmaco alle regole del mercato è un classico esempio riportato nelle aule di economia. Infatti, per i farmaci salvavita, teoricamente, nell’ottica di chi ne ha bisogno, il prezzo tende a coincidere con tutto il proprio patrimonio (nel senso che il soggetto è disposto a dare tutti i suoi averi per poter disporre di quel bene); ma ovviamente il sistema non può permettere che si realizzino situazioni così sbilanciate ed interviene imponendo prezzi controllati. La pandemia ha rilevato come non sia più sufficiente prevedere una no-price competition (cioè una concorrenza non basata sul prezzo), ma sia indispensabile gestire l’intera filiera, perché in questa fase il problema non è il “prezzo” ma la disponibilità del bene.

La discussione che si è sviluppata in questi tempi non si è incentrata sul prezzo del vaccino (indicativamente, a dose, € 1,75 per quello di AstraZeneca, € 12 per Pfizer, € 14,68 per Moderna), fattore quasi sconosciuto ai più. Si tratta peraltro di vaccini a RNA messaggero (è ciò spiega la differenza) da somministrarsi con siringhe di precisione. In effetti, il loro modesto importo non riscuote particolari interesse, se non fosse che – particolare non marginale – il numero di dosi da acquistare genererà una spesa colossale per i singoli Paesi, ancorché quanto mai indispensabile. Sull’opportunità di vaccinare gran parte della popolazione non si discute, semmai lo possono diventare le modalità operative se non predisposte con razionalità. Non a caso, sui tempi di autorizzazione alle immissioni in commercio e su chi ha diritto ad acquisirle prima, è ormai scontro, soprattutto tra i Paesi occidentali. Gli stessi che dopo le iniziali affermazioni altruistiche, si sono lanciati in una guerra di accaparramento. Se più soggetti desiderano uno stesso bene e le tensioni non si possono scaricare sull’aumento del loro prezzo, inevitabilmente vanno ad accentuare tensioni su altri fronti (forse ancora più pericolosi). Il caso degli anticorpi monoclonali

Come ha ricordato il presidente dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), Giorgio Palù (noto soprattutto all’estero per le sue 600 pubblicazioni), gli anticorpi monoclonali sono farmaci salvavita e somministrati nella fase precoce riducono del 70 per cento i ricoveri ospedalieri e riducono la mortalità anche nei soggetti fragili. Sul fronte opposto si ritrova il direttore generale dell’Agenzia Nicola Magrini, medico specializzato in farmacologia clinica, proveniente dall’OMS, dove è stato Segretario della Lista dei Farmaci Essenziali (WHO –EML) dal 2014, che non ha approvato la sperimentazione degli anticorpi monoclonali. Nella mischia è entrato anche l’ex Direttore Generale di AIFA, il Prof. Luca PANI, affermando: “L’AIFA poteva far presente al Ministro la necessità di autorizzare questi anticorpi ex comma 3 art. 5 del Dlgso. 219/2006 esattamente come aveva già fatto nel caso dell’infezione da Ebola nel 2015. Ovvero in una situazione milioni di volte meno complicata di quella presente.” Tra prudenza e ritrattazioni degli organismi preposti alla nostra salute

L’elenco delle contraddizioni si allarga se si confrontano alcune scelte effettuate in Italia in rapporto ad altri Paesi: – L’Aifa ha detto No a remdesivir, mentre EMA (European Medicines Agency) esprimeva parere favorevole all’uso compassionevole. – L’AiFa ha detto a No baricitinib (mentre è stato approvato in USA), così come ha detto inizialmente No agli anticorpi Lilly e Regeneron. Chi ha ragione, lo stabilirà l’esperienza e l’evoluzione scientifica. Ma oggi il singolo individuo e i parlamenti chiamati a legiferare sull’argomento, difficilmente riescono a prendere una decisione a ragion veduta. Bisogna assumere decisioni, ma: – l’innovazione costa (lo status quo è, o appare, in forme gratuite, almeno nell’immediato); – l’innovazione spaventa (incrina equilibri consolidati obbligando a rimettersi in gioco); – l’innovazione crea nuovi poteri (a scapito di quelli precedenti). Sicuramente negare o evitare di sperimentare nuove soluzioni mette al riparo da quei lacci e lacciuoli che ormai caratterizzano tutti i sistemi occidentali. Che non si debbano autorizzare farmaci la cui utilità non sia provata è sicuramente un atteggiamento prudenziale: peccato che quando Aifa ha autorizzato, come nel caso del lopinavir e dell’idrossiclorochina, ha poi dovuto ritrattare (e le Regioni sono andate in ordine sparso). Gli insegnamenti di Cartesio

Nelle società decadenti si tende ad esasperare le soluzioni, in apparenza, manichee: non si può fondare il partito per la sperimentazione di qualsivoglia farmaco, quello della tutela portata fino al punto di bloccare non solo le sperimentazioni, ma le stesse modalità dell’agire economico, etc. Riconosciuta l’importanza del confronto fra le parti sociali e tra scienziati che hanno tutto il diritto di manifestare le proprie idee (anzi questo costituisce un valore aggiunto per una società evoluta) occorre che il sistema sappia gestire le controversie, indirizzandole come stimoli alla ricerca e non come prese di posizione ieratiche. Se non ci pensano le autorità costituite, la responsabilità passa ad altri soggetti (sicuramente meno avvezzi ad affrontare argomenti così specifici, quali i fruitori dei farmaci) che rispondono disorganicamente ad un sistema che fa dubitare di tutte le soluzioni proposte.Fu Cartesio a insegnarci che il dubbio non è “scettico”, ma la capacità di elaborare un metodo, per cui ogni affermazione deve passare attraverso il dubbio per poter conseguire un sufficiente livello di certezza.

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