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Energia: con il "Decreto bollette" si va nella giusta direzione


di Emanuele Davide Ruffino e Luca Alpozzi



Per uno Stato visceralmente assistenzialista quale l’Italia, il principale strumento per affrontare la crisi energetica, si manifesta essenzialmente nel richiedere maggiori contributi, bonus, incentivi, prebende etc. Non è un caso che siamo quelli che hanno speso di più per il sostegno al caro bollette (seguiti, ma a distanza, dalla Germania). Sul come produrne più energia, all'opposto, si parla poco e male. Eppure dallo shock petrolifero degli anni Settanta, si sa che, per la nostra economia, è essenziale disporre di risorse energetiche continuative ed affidabili. Nonostante l'esperienza del passato, il nostro Paese importa il 78% del proprio fabbisogno e rimane, a livello europeo, ancora uno dei più dipendenti dall’estero.


Per capire l’irrazionalità e la pochezza dell’attuale dibattito sull’energia è sufficiente prendere a campione alcuni giornali e confrontare lo spazio dedicato alle richieste di aiuti e sostegni e quello dedicato alle proposte tecniche per risolvere la situazione.

Prezzi, approvvigionamenti e“dipendenza consumistica”

Il problema vero non è il prezzo, ma quanta energia potremmo disporre nei prossimi mesi, se la guerra economica dichiarata all’Occidente continuerà in modo ancora più esplicito. Cioè se ci chiuderanno i rubinetti del gas. È evidente che stando così la situazione saremo sempre esposti a ricatti di Paesi terzi. L’attenzione allora dovrebbe essere concentrata sul produrne di più, per non dover dipendere da nessuno se non si vuole cadere in una specie di “lockdown energetico“, dove sarà inevitabile ridurre servizi e possibilità di movimento per mancanza di energia. Smart work e didattica a distanza si dovranno riattivare per diminuire i consumi energetici e forse ciò potrebbe non essere un male a patto di realizzare nuove forme di organizzazione sociale, meno consumistiche e più attente alla persona. Forse nasceranno movimenti del tipo "no caro gas" che riscuoteranno un certo successo, ma che esasperando ancor più i contrasti, rischiano di allontanare ancor più la predisposizione di soluzioni concrete e razionali.

Le sfide indotte dal prezzo del gas

I Paesi nordici (Inghilterra e Norvegia esportano sia petrolio che gas) e l’America dispongono di risorse proprie abbondanti, la Francia produce con le sue centrali nucleari circa il 70% del fabbisogno, la Spagna il 50% grazie alle rinnovabili (in particolare l’eolica). Le cenerentole sembrano essere Italia e Germania (che però dispone ancora di centrali nucleari ed è più avanti nelle fonti rinnovabili) prive di sufficienti programmi di autonomia energetica, alle quali non rimane che accedere alla fiscalità generale o agli sforamenti di bilancio per superare la situazione. Provvedimenti forse giustificabili in questa fase di promesse elettorali, ma che non rappresentano certo per noi un programma prospettico e ci mettono in ulteriore difficoltà con i nostri concorrenti.

Quel che preoccupa nell'attuale situazione è la caduta delle proposte per attivare fonti energetiche alternative. Alle lentezze dello Stato nel realizzare impianti eolici, fotovoltaici, geotermici o rigassificatori (invocati, ma mai nel giardino di casa) si fatica anche a lasciare alla libera iniziativa dei singoli possibilità operative (magari dirottando un po’ dei bonus facciata, nel finanziare l’energia pulita).

La speranza nel fotovoltaico ad edilizia libera

In un panorama piuttosto statico, una rivoluzione concettuale è rappresentata dalla possibilità di accedere alla cosiddetta edilizia libera per la realizzazione di impianti fotovoltaici e per altre forme di rinnovabili. Il Decreto Legge n. 17 del 1° marzo 2022 (il cosiddetto Decreto Bollette) prevede (finalmente) alcune misure per semplificare l’istallazione di impianti fotovoltaici. In particolare, l’articolo 9 fissa gli interventi per installare pannelli fotovoltaici riconducibili ai lavori di manutenzione ordinaria e, quindi, che si possa procedere senza particolari autorizzazioni. Se dovesse funzionare, rappresenterà una vera deregulation, finora mai realizzata in Italia. Nella sostanza, sono abrogate le procedure di comunicazione, autorizzazione e verifica direttamente legate all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica, previste dal Decreto Legislativo n.28/2011 art. 7-bis, comma 5.

Semmai c’è da chiedersi perché, nel corso dell’ultimo decennio, si sia tenuta in vigore una norma che rallentava la realizzazione di fonti energetiche pulite alternative. Bisognerà ora verificare se gli apparati burocratici che vivono sulla complessità dei processi amministrativi, considerata la situazione energetica, accettino effettivamente di lasciare spazio alle iniziative dei singoli.

Meno burocrazia nelle iniziative

Per installare il fotovoltaico sugli edifici privati (comprese le pertinenze, quali garage e tettoie) o il termico non sarà più necessaria alcuna autorizzazione, fatta eccezione per gli edifici di pregevole valore storico o di particolare interesse estetico (dove giustamente occorre mantenere rigidi controlli). Per velocizzare le installazioni, rientrano nell’Edilizia libera anche le opere realizzate per le connessioni alle reti elettriche nelle strutture o negli edifici interessati (precisazione quanto mai dovuta per non bloccare sul nascere il provvedimento).

L’art.10-bis prevede poi la possibilità, nelle zone industriali, di effettuare interventi per l’installazione di impianti fotovoltaici a copertura, fino al 60% delle pertinenze.

Il ritardo culturale e organizzativo porterà l’Italia a pagare un prezzo più alto per la crisi energetica: la perdita di competitività a causa dei rincari indurrà un aumento dei costi di diverse decine di miliardi (30 miliardi annui per il solo settore manifatturiero), portando l'incidenza dei costi energetici all'8,0% dei costi di produzione per l'industria italiana, contro il 7,2% per l'industria tedesca e del 4,8% di quella francese. Un altro duro colpo per le nostre potenzialità cui, se verrà effettivamente attuato il concetto di edilizia libera, si porrà seppur in ritardo (e senza aggravio per lo Stato) un rimedio.



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