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Desmond Tutu, il visionario premio Nobel per la pace

di Luca Rolandi|

Esistono i visionari, i profeti religiosi e laici, anche nella nostra epoca? La risposta a questa domanda è affermativa. Uno di loro è stato l’arcivescovo della Chiesa Anglicana dell’Africa del Su, Desmond Tutu morto all’età di 90 anni, un uomo che ha lottato per tutta la sua esistenza contro l’apartheid. Persone che vanno oltre ogni ostacolo ogni possibile e immaginabile confine e limiti. Per questo il funerale di Città del Capo sarà un momento triste, ma anche una festa di ringraziamento per come l’arcivescovo della pace ha interpretato il rifiuto della discriminazione e ad un tempo è stato promotore della riconciliazione tra neri e bianchi. Nato il 7 ottobre 1931 a Klerksdorp, una città fondata dai boeri, Desmund è stato insieme all’amico Nelson Mandela (nella foto) l’eroe del Sudafrica libero. Arch, come Tutu era chiamato in luogo del “vostra grazia” che il suo rango di Archibishop avrebbe richiesto, è stato un gigante dell’etica Ubuntu, l’incrollabile fede nel restare umani che ha illustrato l’intero “arco” della sua storia, un’empatia viva fatta di carne, emozioni, rabbia non-violenta e gioia non-fatua, in cui rientra a buon diritto anche il suo schierarsi oggi al fianco delle comunità lgbtq o del popolo palestinese. Dopo la oceanica manifestazione nel 1993 con la fine dell’apartheid e il suo grido di liberazione “Siamo liberi”, negli anni successivi Tutu si era impegnato per la riconciliazione del Paese. Fu lui a ideare e presiedere la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc), il tribunale con 17 giurati istituito nel 1995. L’inchiesta sulle atrocità del regime segregazionista si chiuse tre anni più tardi e segnò un doloroso e drammatico processo di pacificazione fra le due parti della società sudafricana. A quanti confessarono i propri crimini, offrendo una sorta di riparazione morale ai familiari delle vittime, fu accordato il perdono. L’amnistia fu concessa a 849 persone e negata a 5.392. In una delle tante audizioni seguite in tv da tantissimi sudafricani, scoppiò in lacrime dopo aver sentito la testimonianza di un ex detenuto politico sulle violenze subite da parte della polizia che lo aveva appeso per i piedi con la testa chiusa in un sacco. Alcune prese di posizione dell’arcivescovo furono contestate dai suoi superiori, come per esempio quella in difesa degli omosessuali (“non potrei venerare un Dio omofobo”, disse), quella per il diritto all’aborto o quella più recente sul diritto al suicidio assistito. Anche la Cina lo ha criticato per aver difeso il Dalai Lama. Nel 1984 gli fu assegnato il Premio Nobel per la pace. “La morte di Tutu ha segnato un altro capitolo di lutto nell’addio della nostra nazione a una generazione di eccezionali sudafricani che ci hanno lasciato in eredità un Sudafrica liberato”, ha dichiarato il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.

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