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Covid-19, la varianza delle variabili

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |


Le rilevazioni dell’andamento delle variabili del Coronavirus non sono un bollettino con cui dare ragione ai diversi oracoli che si cimentano a prevedere il futuro sull’andamento delle pandemie. I virus per sopravvivere devono adeguarsi all’ambiente in cui vivono e, di conseguenza, qualsiasi scoperta e qualsiasi conoscenza deve continuamente aggiornarsi: lavoro che svolgono i laboratori attrezzati in tutto il mondo, pressoché in tempo reale. Quello che non si riesce a spiegare che la scienza è in continua evoluzione e non si adatta a questa o a quella sensazione del momento.

La gestione della pandemia richiederebbe un approccio planetario, perché quello che succede in qualsiasi parte del mondo è, soprattutto a livello pandemico, di nostro immediato interesse. L’immunizzazione di gregge sarà tale solo quando si riuscirà a coprire una fasce consistente della popolazione, altrimenti rimane poco più di un placebo per tranquillizzare le singole popolazioni. Ma se il virus, per sopravvivere a se stesso deve essere in grado di operare una continua evoluzione, anche la medicina e l’organizzazione sanitaria devono tempestivamente adeguarsi, possibilmente senza doversi a sua volta adeguarsi ai lacci e lacciuoli della burocrazia e alle ondate isterico-demagogiche. Per quale variabile fai il tifo?

Le “varianti” di cui, come le previsioni metereologiche, si viene quotidianamente informati, rappresentano una naturale evoluzione specie per i virus a RNA (cioè con acido nucleico a doppio filamento). Di conseguenza, muta anche il loro livello di contagiosità, la loro aggressività con impatti significativi anche su livello di efficacia della campagna vaccinale anti-Covid. Attenzione si parla di efficacia e non di utilità. Dunque lo strumento diventa indispensabile per contrastare la diffusione del virus ed oggi è l’arma più potente a disposizione. Darwin ci ha spiegato che ogni essere vivente nel replicarsi è soggetto a mutazioni genetiche (per caso, per errore, per azioni climatiche etc). A sopravvivere sono i soggetti più forti e, nel caso del virus, quelli con maggiore diffusività e contagiosità, prendono il sopravvento. Dovremmo tifare per i virus scarsamente replicanti! Quello che possiamo fare è la rilevazione tempestiva del fenomeno per contrastarlo sul nascere con campagne di vaccinazioni globali, in modo che non possa propagarsi e soprattutto non offrirgli il tempo di evolversi ulteriormente (altrimenti si re-inizia tutto da capo). Una frustrazione per i medici la cui professionalità non è più sufficiente se non supportata da un livello manageriale in grado di condizionare tutti i livelli di governo. Il contrasto deve avvenire a livello planetario. Vincere una battaglia in un luogo è sicuramente auspicabile, ma può non essere determinate. Primo passaggio è quello di monitorare l’evoluzione delle varianti dovunque queste si manifestino, ma i livelli di audit si presentano quanto mai differenti e quasi assenti nei Paesi in via di sviluppo. Il primo a partire in queste ricerche è stato il Regno Unito seguito, anche se con troppe differenze, dagli altri Paesi occidentali. Di fatto si acquisiscono informazioni solo con molto ritardo: anzi non si è ancora definito chi e con quali poteri può e deve monitorare i fenomeni. L’Organizzazione mondiale della sanità pur rappresentando il più alto livello di programmazione a livello planetario viene ancora sottoposta a vincoli da parte delle nazioni partecipanti e a sospetti di influenza da parte di poteri economico finanziari. Il labirinto delle variazioni genetiche e la “frenesia della ripartenza”

Ad oggi si conoscono 12mila variazioni genetiche delle sequenze depositate: alcune sono irrilevanti, altre pericolose. Il nome non indica necessariamente dove queste si sono sviluppate, ma dove sono state “isolate” (così la cosiddetta variabile napoletana è stata isolata alla Facoltà Federico II su un soggetto proveniente dal nord Africa). Il virus è un parassita e come tale ha bisogno di un ospite per sopravvivere e replicarsi: un nemico invisibile, ma che si può studiare e si può distruggere l’habitat in cui questo si propaga. Questo secondo aspetto richiede distanziamento sociale e misure di prevenzione da attuarsi indipendente dalle rilevazioni quotidiane: malattie quali la normale influenza e il morbillo hanno subito una notevole regressione con il lockdown e, fosse solo per le morti così evitate, meritano di essere mantenute e soprattutto esportate in tutte le parte del mondo. Un impegno sanitario, ma anche di civiltà da perseguire con rapidità. Il prof.Luca Ricolfi, sociologo, docente di Analisi dei Dati e Presidente e Responsabile Scientifico della Fondazione D.Hume, nell’interessante intervista del 3 luglio all’Huffington Post, pone l’attenzione sulla “frenesia da ripartenza” come vediamo in tutto l’Occidente, soprattutto in Italia. Le attività legate alla ristorazione si sono moltiplicate in tutte le città, i luoghi di vacanza sono quasi sold-out, gli operatori turistici faticano a trovare lavoratori stagionali: è un immenso “parco giochi” in parte circondato da isole di duro lavoro spesso affidato agli immigrati (raccolta della frutta e verdura, cantieri edili, ecc). Luca Ricolfi definisce queste società occidentali come “società signorili di massa” con uniche eccezioni in Paesi quali Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Australia e Nuova Zelanda dove la Covid-19 ha lasciato una lezione importante: chiusura delle frontiere, mobilità interna ridotta, privacy limitata. Queste società hanno imparato dall’esperienza e non sono completamente assoggettate al loro modello di sviluppo e agli stili di vita consolidati. Probabilmente anche i Paesi Scandinavi possono superare il modello iper-consumistico e turismo-centrico dell’Europa e dell’America, anche aiutate dalla tradizione luterana e da una cultura del lavoro molto forte. Non è all’allarmismo guardare all’autunno

Secondo i dati di morti, ospedalizzati e contagi la situazione attuale è simile a quella dell’anno scorso, ma bisogna tenere presente che il numero di persone testate (come anche lo scorso anno in estate) anziché aumentare è in costante diminuzione; inoltre il numero di decessi è ridotto grazie alla campagna vaccinale che lo scorso anno non c’era. Il sequenziamento del virus necessario dal punto di vista epidemiologico è poco diffuso in Italia1 e non ci sono segnali di ripresa di questa importante attività. In previsione dell’autunno con la riapertura delle scuole e delle attività produttive, solo ora è iniziata una debole discussione sulla necessità di rafforzare i trasporti pubblici, riorganizzare l’attività scolastica, la medicina territoriale e la campagna di rivaccinazione. Oggi, diversamente dall’anno scorso, ci sono due variabili nuove: la campagna vaccinale che frena la circolazione del virus, ma non è diffusa in tutti i Continenti allo stesso modo, e la comparsa delle varianti virali che accelera la diffusione del virus. Se non si fa nulla per preparare il rientro autunnale quando la percentuale delle persone completamente vaccinate non supererà forse il 60-70 % in Europa (in Africa oggi siamo al 2% della popolazione vaccinata) forse avremo meno morti grazie ai vaccini, ma più infetti a causa delle varianti. Interessante sarà osservare come progredisce l’epidemia da variante Delta nel Regno Unito, Portogallo, Israele, USA dove è dominante ma che, grazie alla campagna vaccinale, non sembra produrre un aumento di mortalità. Sarà inoltre opportuno verificare come la politica affronterà l’autunno con i limiti che la cultura e la mentalità dei vari popoli le consentiranno._______

1Come già analizzato il 23 giugno in “Vaccini, l’incognita della nostra estate”: https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2021/06/model_-vz-1.pdf

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