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Conflitti e dicotomie delle riforme costituzionali in nome del federalismo

di Gian Paolo Zanetta |

La prima lezione non è servita: anche nell’attuale fase di emergenza i rapporti Stato-Regioni permangono tesi e continuano ad essere segnati da atteggiamenti contraddittori e conflittuali, ingenerando confusione e dubbi nella cittadinanza. E non può essere elemento di consolazione il sapere che analoga conflittualità si è manifestata nella Germania di Angela Merkel, dove l’avvio di pandemia ha visto autorità centrale in situazioni di dura contrapposizione, oggi superata. Nel nostro Paese la realtà si presenta, come sempre, più complessa, in questo caso, per ragioni profonde, radicate sia in uno storico dualismo tra centro e periferia sia nel venir meno di un senso di misura nei rapporti istituzionali. Scontri di competenze tra Legge Costituzionale 3/2001 e art. 117 della Costituzione

Le analisi politiche, le valutazioni giuridiche, gli approfondimenti anche meno sofisticati vedono nella riforma introdotta dalla Legge Costituzionale 3/2001 la causa dell’attuale conflitto e puntano l’attenzione su quanto il novellato articolo 117 Cost. ha stabilito in tema di suddivisione di competenze tra Stato e Regioni in materia di sanità. Una lettura celere della norma porta ad affermare che un tema così delicato ed importante come la tutela della salute non trovi, nella nuova formulazione, una adeguata suddivisione di competenze. Infatti, mentre allo Stato viene attribuita legislazione esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la tutela della salute viene ricompresa nelle materie di legislazione concorrente: in questo caso spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Ripetiamo, una lettura affrettata dell’articolo 117 potrebbe trovare qui, in questo apparente sbilanciamento di competenze e di rapporti la ragione della attuale conflittualità. Anche il termine usato, “la tutela della salute”, contenuto nell’articolo 32, e qui consegnato alla potestà legislativa regionale, potrebbe far ritenere “favorita” la Regione in un ruolo attivo di governo e di conseguenza deprivata la competenza statale. In realtà riteniamo che il tema di una eventuale conflittualità sia ben più complesso, non limitato all’ambito sanitario, ma che riguarda l’impostazione complessiva ed i principi fondanti della riforma del Titolo V, di cui l’attuale configurazione dell’articolo 117 è l’espressione, e che i suddetti principi trovino le radici in un processo normativo precedente alla riforma e precursore della stessa. L’analisi deve allargare lo spettro della propria valutazione, non fermarsi all’art.117, ma valutarne i prodromi e le basi giuridiche. Effetti dirompenti delle Leggi Bassanini

Tale percorso inevitabilmente chiama in causa le quattro leggi Bassanini, di poco precedenti alla riforma costituzionale che, riscrivendo l’organizzazione amministrativa della Repubblica, hanno in realtà messo in discussione il carattere tradizionale della forma statuale, innovando il sistema delle fonti, le strutture di governo dello Stato, i rapporti tra lo Stato medesimo, le Regioni ed il sistema delle autonomie locali. Del resto, la trasformazione dello Stato, che poi vediamo trasfusa nel nuovo Titolo V, ha avuto origine in questo contesto normativo. Pertanto, il citato 117 Cost. deve essere letto in maniera integrata con gli altri articoli del nuovo titolo V, quelli che vanno dal 114 al 120 ed attraverso questa analisi, a nostro parere, si trova conferma che le leggi Bassanini sono il vero substrato della riforma costituzionale, la matrice dalla quale nasce il nuovo assetto costituzionale che disegna i nuovi rapporti tra i diversi livelli di governo. Le leggi, quattro per la precisione, emanate in un arco di tempo che va dal marzo 1997 (legge 15 marzo 1997 n.59) al Marzo 1999 (legge 8 marzo 1999 n.50) definiscono alcuni obiettivi di fondo che intervengono su: 1) semplificazione delle procedure amministrative e dei vincoli burocratici alle attività private, con riforma dei procedimenti e revisione delle modalità di organizzazione e di funzionamento di alcuni ambiti specifici dei servizi pubblici; 2) ridefinizione di rapporti e distribuzione di competenze tra Stato (con riforma organica della Presidenza del Consiglio, della struttura del consiglio dei Ministri e dei Ministeri), Regioni e sistema delle autonomie locali; 3) contemporaneo avvio del perseguimento del massimo decentramento amministrativo realizzabile con legge ordinaria, senza dover ricorrere a modifiche costituzionali. Dal principio di sussidiarietà a quelli di differenziazione ed adeguatezza

Qui preme mettere in rilievo, della riforma complessiva introdotta dalle citate leggi, il significato dei principi di fondo ispiratori del processo di modifica, quale espressione della volontà di superamento di un centralismo ormai obsoleto, il loro impatto sull’assetto istituzionale, la loro portata innovativa, tale da diventare, essi stessi, in una fase immediatamente successiva, i cardini della riforma costituzionale contenuta nella legge 3/2001. Per questo occorre partire da questo complesso di norme, tra loro coordinate e legate proprio dai principi che vogliamo evidenziare. Innanzitutto il principio di sussidiarietà, che secondo l’articolo 4 lettera a) della legge 59/1997 comporta “l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province ed alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative ed organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”. In secondo luogo, la legge 59/97 avvia il superamento del parallelismo tra le funzioni legislative ed amministrative attribuite rispettivamente allo Stato ed alle Regioni, per cui si dà corso ad una riarticolazione territoriale delle funzioni amministrative che risponde, oltre al principio di sussidiarietà, anche ai principi di differenziazione ed adeguatezza. In pratica si dà il via al cosiddetto federalismo amministrativo. In terzo luogo, l’introduzione del principio della tassatività ed eccezionalità delle competenze rimanenti allo Stato ed alle sue articolazioni amministrazioni, mentre nelle altre materie dovrà essere la Regione a decidere circa la dislocazione territoriale delle funzioni nell’ambito della sua competenza legislativa, nel rispetto di specifici principi costituzionali. Due anni dopo la Legge Costituzionale 3 del 2001 modifica, in senso federalista, il Titolo V della Costituzione, ed è inevitabile che la riforma costituzionale venga letta anche alla luce delle leggi, approvate sul finire della precedente legislatura, sorte naturalmente scontata per il “pacchetto Bassanini”, che sembra aver aperto la strada, proprio partendo dal principio del federalismo amministrativo. Alcuni autori, in particolare il prof.Pizzetti, hanno teso ad evidenziare la radicale diversità dei due processi normativi: la riforma innescata dalle leggi Bassanini si sarebbe mossa tutta sul terreno delle riforme amministrative e della riorganizzazione del sistema amministrativo italiano, mentre il cambiamento del Titolo V sarebbe stato finalizzato a ridefinire ruoli e rapporti tra legislatori. Mentre per il primo ambito si parla di federalismo amministrativo, per il secondo, la riforma costituzionale, si parla di regionalismo legislativo. Eguale dignità istituzionale tra Stato e Regioni

In realtà, propendo per la tesi che considera le leggi Bassanini come l’apertura, l’indicazione, la definizione degli indirizzi e dei confini della riforma del Titolo V: se ci orientiamo a voler evidenziarne i principi sottesi, senza scendere nel dettaglio dell’articolato, risaltano le analogie ed anche il filo conduttore che lega la riforma al primo processo legislativo di trasformazione dello Stato. 1) Tra le innovazioni più rilevanti introdotte dalla riforma del 2001 vanno considerati due principi, quello di sussidiarietà (articolo 118) e quello di equi-ordinazione fra lo Stato e le altre istituzioni territoriali (art.114). La Repubblica quindi non si identifica più con lo Stato, ma viene costruito un ordinamento strutturalmente policentrico basato su un forte pluralismo istituzionale tra soggetti dotati di eguale dignità istituzionale. 2) Viene affermata la parificazione tra fonti legislative statali e regionali, quanto alla loro collocazione nella gerarchia delle fonti: l’articolo 117 dice che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni…”. Quindi assoluta parificazione tra i legislatori, neppure scalfita dalla legislazione concorrente di cui all’articolo 117 terzo comma. 3) Ed ancora: sotto il profilo dell’amministrazione, Stato e Regioni sono posti esattamente sul medesimo piano delle Provincie e delle città metropolitane ed in ultima istanza anche dei Comuni( cui spetta oggi un ruolo di primazia nel sistema). Tutto ciò integrato dal superamento del principio del parallelismo tra funzioni legislative da un lato e funzioni amministrative, gestionali e di governo dall’altro. 4) Infine viene riorganizzato il sistema finanziario della Repubblica sulla base dei principi del federalismo fiscale e dunque dei principi di autonomia, responsabilità e trasparenza dei prelievo e della spesa e di certezza e sufficienza delle risorse rispetto alle funzioni ed ai compiti attribuiti (art.119). 5) L’abbandono del modello della supremazia gerarchica dello Stato nelle relazioni istituzionali viene compensato con un modello fondato sul principio della leale collaborazione (art.120), unito a quello di sussidiarietà. Ciò significa ambiti di autonomia garantiti per tutti i soggetti dell’ordinamento, senza interferenze con l’esercizio legittimo dell’autonomia di ciascuno di essi, finché essa si svolge nell’ambito proprio e perciò senza esorbitare dai suoi limiti costituzionali. Riforme e loro concreta applicazione nel diritto alla salute

Lo Stato, fortemente unitario previsto dalla Costituzione del 1948, viene superato da una nuova forma di Repubblica, caratterizzata dal riconoscimento di forti autonomie regionali e locali e la cui unità ed indivisibilità postula meccanismi di coordinamento non gerarchico, basati sulla leale collaborazione e su intese istituzionali. Ritengo tuttavia che l’esame delle leggi soprattutto costituzionali, non debba limitarsi ad una valutazione giuridica su merito e metodo della innovazione introdotta, ma debba riguardare anche la concreta applicazione e gli effetti sugli assetti istituzionali e sul governo della cosa pubblica, perché poi è questo, che alla fine, interessa al cittadino: risposte celeri, efficienza, corretto utilizzo delle risorse, chiarezza istituzionale e responsabilità chiara per ogni livello istituzionale. Alla luce dei più recenti banchi di prova, vedasi emergenza pandemica, ma anche riesaminando esperienze precedenti, non si può dire che la modifica del titolo V sia stata una riforma ben riuscita, pur riconoscendo al legislatore lo sforzo di voler dare compiutezza e risposte ad un vulnus pluridecennale dell’ordinamento giuridico italiano, rappresentato da un centralismo antistorico. Vogliamo però dare un titolo, addirittura più titoli, alle nostre critiche ed evidenziare i limiti dell’attuale assetto costituzionale. Se definiamo l’attuale sistema come ordinamento a regionalismo legislativo, occorre rilevare che questo sistema manca oggi di sufficienti elementi unificanti, affinché, se è vero che oggi la Repubblica non si identifica solo con lo Stato, si attui comunque il dettato costituzionale che richiede la garanzia di diritti civili e sociali eguali ed uniformi su tutto il territorio nazionale. Il diritto alla tutela della salute rientra tra questi diritti e non sono ammesse disparità di trattamento. I limiti dell’art. 120 della Costituzione nella crisi della società

E’ troppo debole un sistema di rapporti tra Stato e Regioni, basato soltanto sul principio di leale collaborazione, soprattutto in una fase politica caratterizzata da contrapposizioni politiche, polarizzazione degli schieramenti, appannamenti dei principi di concordia e di rispetto istituzionale, forti spinte alla separatezze ed agli schematismi ed esasperazioni all’interno della società (individualismi, atomizzazione). Così come è costruito, l’articolo 120 Cost. manca di intensità ed effettività, rimanendo una pura espressione di intenzione, mentre al contrario è rafforzata l’esigenza di leale collaborazione, causata anche dall’attenuarsi del rapporto gerarchico tra Stato e Regioni. Anche qui, la sanità è un banco di prova, che dimostra la debolezza del citato articolo 120: la gestione dell’emergenza sanitaria, la definizione delle risorse, gli investimenti, le strategie di rilancio, la stessa prospettiva di gestione del “Next generation UE” aprono scenari di conflitto tra centro e periferia che suonano negativi per un indispensabile efficientamento del sistema. Mancano strumenti, come ad esempio il Senato delle Regioni, cultura istituzionale, volontà politica: pensare di governare, con lo spirito della “leale collaborazione” l’attuale fase politica è come voler svolgere una partita di calcio senza arbitro. Esiste la Corte Costituzionale, ma non può sostituirsi al legislatore. Infatti, l’equiparazione tra potestà legislativa statale e quella regionale, e di conseguenza l’equiparazione politica, senza alcune garanzie, può produrre paralizzanti stalli decisionali, soprattutto in assenza di intese forti tra Stato e Regioni , nonché assenza di istanze di unificazione nei vari contesti della società. Occorrerebbe prevedere, come di norma avviene negli ordinamenti federali, una clausola di supremazia, una “supremacy clause”, non incompatibile con il principio di equi-ordinazione, con la definizione di un procedimento concertativo che conduca in tempi ragionevoli e brevi ad una decisione. Altro punto debole la mancata attuazione dell’articolo 119, punto forte e centrale della riforma, in materia di suddivisione delle risorse in rapporto alle funzioni attribuite, accompagnata da una perequazione forte e condivisa delle risorse stessa tra Regioni. In conclusione: un processo di riforma, complesso e non limitato alla trasformazione, in senso federalista, del Titolo V, è rimasto a metà e di questo stallo soffrono oggi i cittadini, ai quali si devono rivolgere le nostre riflessioni. Una delle cause della disaffezione dalla politica risiede proprio nella percezione di una assenza di garanzia dell’effettività, della esigibilità e dell’efficienza dei diritti civili e sociali fondamentali, quale la tutela della salute: nel comune pensare, questo è anche attribuibile alla mancanza di chiarezza nelle competenze e nelle responsabilità di governo.

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