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Come si arriva sull’orlo del precipizio suicida individuale, sociale ed economico.

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi |


Purtroppo non è solo una metafora: nella contea di Clark nello stato del Nevada (quello di Las Vegas), la situazione pandemica ha spinto le autorità a riaprire le scuole per contrastare l’ondata di suicidi. Lo School board locale, dopo aver annoverato ben 18 suicidi (il più giovane di solo 9 anni) ha autorizzato la riapertura, nonostante la zona continui a registrare un alto numero di morti e contagiati. Secondo l’OMS, si tratta di un fenomeno globale, con 800.000 casi in un anno, uno ogni 40 secondi. Correttamente, considerati i drammi sottostanti, non ne viene data enfasi mediatica, ma il problema esiste e deve essere analizzato sotto tutti i profili.

Se nell’antica Roma veniva considerato come un’espressione di legittima libertà personale, fu solo con l’affermarsi di un forte senso di religiosità che il suicidio fu tolto dalla disponibilità dei comuni mortali, in quanto la vita è un dono degli Dei (sino al Concilio Vaticano II, 1965, il funerale cattolico veniva vietato ai suicidi). Nell’epoca moderna i primi studi del fenomeno furono elaborati dal francese Emile Durkheim alla fine del XIX secolo, secondo il quale, il suicidio era un problema essenzialmente morale. E la realtà fornisce un’infinità di fattispecie che partono da forme eroiche, compiute per soddisfare un imperativo sociale, in cui l’individuo avverte valori e senso d’appartenenza come fattori più importanti della sua stessa esistenza (tra gli esempi, il cecoslovacco Jan Palach, 20 anni, che si diede fuoco il 16 gennaio del 1969 per protestare contro l’invasione sovietica a Praga, e i monaci buddisti del Vietnam, diventati simboli di un’epoca, fino al suicidio dello scrittore nazionalista giapponese Yukio Mishima). A ciò si contrappongono i suicidi per mancanza di valori (anomia) caratterizzati dall’assenza di regole e di principi: situazione che tende ad amplificarsi sia nel pieno di una crisi, sia in una fase di turbolenta espansione economica, in quanto, in entrambi i casi, le rappresentazioni sociali subiscono drastici cambiamenti, facendo venir meno i riferimenti morali. I più tristi riguardano quelli connessi una particolare situazione di rassegnazione, spesso causata dalla solitudine con la quale l’individuo, non integrato, si trova a dover affrontare i problemi quotidiani. Il numero di suicidi tende infatti a scemare in presenza di stabili legami sociali (appartenenza a gruppi consolidati o a comunità religiose, matrimoni stabili, etc.), una sorta di reazione all’obbligo di essere liberi. Dal suicidio individuale a quello di massa

Il togliersi la vita è tautologicamente un atto individuale ed in genere presuppone un profondo senso d’infelicità personale che può essere dettato dalla disperazione che può avere, come spiegano le cronache, molteplici ragioni. Le stesse cronache riportano anche suicidi di massa, ognuno con una propria storia, da quello patriottico dei giudei a Masada (che, per non sopportare la vergogna della schiavitù, furono convinti dal loro comandante Eleazar ad incendiare le loro postazioni e a suicidarsi) allo scioccante suicidio di 909 persone che assunsero cianuro su “consiglio” del pastore Jim Jiones, ispiratore della comunità intenzionale People’s Temple Agricultural Project (il gruppo filmò la discussione che precedette l’evento che venne definito “suicidio rivoluzionario”). Seppur manca il requisito della contemporaneità, un fenomeno collettivo può essere considerato anche il gran numero di suicidi tra i superstiti ad una tragedia (in primis, i reduci dei campi di concentramento) dove s’insinua il senso di “colpa” angosciante di essere sopravvissuti. Dal suicidio sociale al suicidio economico

Preso atto che il suicidio eroico/altruistico è pressoché scomparso nella nostra società, si stanno pericolosamente sviluppando le condizioni sociali che portano ad un atto in cui vengono coinvolte diverse variabili: le modalità di convivenza, l’alienazione da globalizzazione, l’isolamento sociale, le tradizioni e le situazioni contingenti generate dalla crisi ne acuiscono gli aspetti negativi. La rottura degli equilibri della società e il conseguente sconvolgimenti dei suoi valori, sono precondizioni che possono far presa su soggetti con una predisposizione psicologica: la crisi economica, l’alienazione dettata dal moderno “eremitaggio” urbano, la perdita di riferimenti culturali, creano le condizioni perché in alcune persone si rafforzi il senso esasperato di alienazione, specie in ragazzini oggetto di bullismo e stigmatizzati perché diversi o con handicap psico-fisici oppure perché oggetto di video a sfondo sessuale pubblicati in rete da persone ritenute amiche. Nella categoria forse possono essere ricompresi anche atteggiamenti sociali autodistruttivi come quelli verificatesi in piazza San Carlo a Torino in occasione della finale di Champions League: solo isterismo collettivo o incapacità delle collettività di ragionare e di assumere comportamenti in grado di evitare autolesionismi? La crisi economica porta alla disperazione padri di famiglia e imprenditori che non riescono più ad assolvere ai loro doveri. In Italia, dall’inizio della pandemia, sono 71 gli imprenditori che si sono tolta la vita. La gravità della situazione obbliga però a riflettere sull’incapacità di assumere una visione del bene comune lasciando spazio a posizioni demagogiche di limitata e breve durata. I problemi ambientali e l’incapacità di produrre condizioni che generino ricchezza, lasciano intravvedere una società che consuma più risorse di quelle che produce. Ma, mentre un’azienda privata che presenta costantemente una diminuzione della produttività è inevitabilmente destinata a fallire, una società che sistematicamente causa danni a sé stessa (senza cura per le generazioni che verranno) si candida ad un suicidio programmato. È questa l’impressione che, dallo scoppio della pandemia, avvertono molti soggetti nell’ascoltare le notizie. Coloro che sono chiamati a studiare e a curare il fenomeno stanno però cominciando a patire, essi stessi, forme di stress (precondizione di molti suicidi): Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, in occasione della Giornata mondiale della Sicurezza delle Cure ha detto: «Nessun paese, ospedale o clinica può proteggere i propri pazienti a meno che non mantenga i propri operatori sanitari al sicuro». Estendendo il concetto, nessuna società può proteggere i suoi cittadini se non permette ai difensori della cosa pubblica (forze dell’ordine, magistratura, vigili del fuoco, volontari della Croce Rossa e delle altre associazioni no profit) di poter assolvere il loro compito senza spade di Damocle appese sulle loro teste.

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