Auto in Italia: non vogliamo scomparire
di Rocco Palombella* |
Una premessa personale: ero ormai convinto che il pericolo per il futuro del settore dell’auto, il più importante della nostra industria manifatturiera, fosse ormai scongiurato e che le scelte non facili prese nel 2010 sarebbero state sufficienti a garantire il mantenimento degli stabilimenti e tutta la filiera. Quelle scelte, che portarono alla nascita di Fca, videro il mondo sindacale e politico diviso sulle azioni da compiere. Il tempo però ci ha dato ragione: abbiamo salvaguardato tutti i livelli occupazionali, rilanciato gli stabilimenti e reso possibili investimenti che hanno portato alla produzione di decine di nuovi modelli.
Neanche la possibilità di respirare, però, che Fca ha deciso di fondersi con i francesi di Psa dando vita a Stellantis, il quarto Gruppo mondiale per la produzione di auto, ma generando anche una serie di rischi al momento incalcolabili. Proprio questo processo sembrava l’elemento più rischioso da affrontare, visto il mancato coinvolgimento delle parti sociali e soprattutto la mancata partecipazione del Governo italiano durante la fusione, a differenza di quello francese. Ma la vera insidia è arrivata dall’Unione europea che, senza un reale coinvolgimento dei Paesi membri, con il Summit di Roma (30-31 ottobre 2021) e quello successivo a Glasgow (dal 31 ottobre al 12 novembre 2021) ha stabilito il 2035 come data ultima per la fine della vendita di auto a benzina e diesel, e il 2040 per tutti gli altri veicoli a combustione. Riflessi da Coronavirus sull’economia
Questa decisione sul clima assunta da 135 Governi ha avuto un diverso impatto all’interno di ogni singolo Paese, a dimostrazione che non tutti sono realmente nelle condizioni di raggiungere quegli obiettivi per via dei ritardi accumulati negli anni. L’Italia è tra i Paesi che ha fatto registrare immediatamente dei seri problemi. Tutto questo, in aggiunta a una crisi pandemica così intensa e che dura ormai da due anni, sta provocando ingenti danni da un punto di vista occupazionale e difficoltà di prospettiva per l’intero comparto dell’automotive. Dopo pochi mesi dallo sblocco dei licenziamenti, che era durato oltre un anno, abbiamo registrato le prime chiusure: prima Gianetti Ruote, poi Gkn, per arrivare oggi a Bosch che ha dichiarato 700 esuberi nello stabilimento di Bari su 1.700 e Magneti Marelli 550 esuberi su un organico complessivo in Italia di circa 7.900. Abbiamo avuto subito la certezza di essere di fronte a un settore strategico che vale in Italia un fatturato di 93 miliardi di euro, pari al 5,6% del Pil e dove nel solo comparto della fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi operano oltre 2mila imprese e 180mila lavoratori realizzando il 7% delle esportazioni metalmeccaniche nazionali per un valore di 31 miliardi di euro. Legge di bilancio avara per automotive
Per questo la nostra categoria ha deciso di coinvolgere il Governo richiamandolo ripetutamente a mantenere gli impegni. La nostra preoccupazione non è tanto il raggiungimento dell’obiettivo Ue, ma soprattutto come si gestisce questa fase di transizione dopo aver demonizzato la motorizzazione endotermica. Dall’Esecutivo abbiamo ricevuto risposte non all’altezza della gravità del problema; per ultimo nella Legge di Bilancio, a fronte di ingenti risorse, circa 4 miliardi, da inserire per far fronte a questo passaggio epocale, il Governo non ha provveduto a stanziare neanche i 450 milioni che servivano per incentivare l’acquisto di autovetture ibride ed elettriche. La crisi pandemica, oltre ad aver provocato in alcuni mesi l’azzeramento delle vendite, ha messo in evidenza la vulnerabilità del settore accentuata dalla mancanza di materie prime, semiconduttori e microchip. Nonostante l’Italia abbia chiuso il 2021 in netta ripresa, e i primi mesi del 2022 confermano un analogo trend, il mercato dell’auto è quasi fermo per effetto della mancanza di questi componenti elettronici che o non si trovano o hanno prezzi alle stelle. Ridiamo vita agli stabilimenti torinesi
Per questo motivo, insieme a Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Federmeccanica, abbiamo chiesto un incontro urgente al Presidente Draghi e ai Ministri del Lavoro, dello Sviluppo economico, della Transizione ecologica e dell’Economia. Gli interventi urgenti che chiediamo riguardano misure strutturali che accompagnino nel breve e lungo periodo il processo di transizione ecologica, come l’utilizzo degli oltre 10 miliardi previsti dal PNRR per valorizzare e rendere competitiva l’intera filiera dell’auto, partendo dal sostegno alla domanda con incentivi permanenti, investimenti sulla rete infrastrutturale e per l’attrazione di nuove realtà produttive ecosostenibili.
Torino è storicamente la città che viene da sempre identificata come la Capitale dell’auto in Italia. Marchionne aveva previsto per Torino la continuità nella produzione di modelli premium e, per la prima volta, la costruzione di un autoveicolo totalmente elettrico. La destinazione degli investimenti per la costruzione di Gigafactory in due città italiane sarebbe stata certamente la soluzione più idonea dal mio punto di vista. Ora, vista la decisione già assunta su Termoli, dal nuovo piano industriale di Stellantis atteso il 1° marzo ci aspettiamo che Torino continui a essere ritenuta centrale considerando anche gli impianti momentaneamente fermi dello stabilimento Agap di Grugliasco, dove si produceva la Maserati.
Non c’è più tempo da perdere, il rischio di una catastrofe sociale ed economica è dietro l’angolo, noi siamo pronti a fare la nostra parte per scongiurarla.
*Segretario generale Uilm-Uil
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