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Addio Battiato, hai cercato e cantato l’Altrove dell’umanità

di Luca Rolandi|

Franco Battiato non era solo un cantautore, un uomo di spettacolo. Anzi rifuggiva dalle luci della ribalta con tutte le sue forze. Era un cercatore, un uomo che guardava oltre. La sua parabola umana non è ascrivibile agli anni dei successi con le canzoni che tutti oggi cantano, il giorno della sua scomparsa a 76 anni, era la ricerca sulle culture attraverso la musica. Nato a Ionia in provincia di Catania nel 1945 è figlio del dopoguerra, figlio del Sud, e della ricerca sul Mediterraneo, il meticciato di culture, religioni, arte e musica costruisce la sua carriera di artista sperimentatore. C’è un Franco Battiato di nicchia e di pochi e ce ne sarà uno di molti, della massa dopo i successi nei primi anni Ottanta. Negli anni Settanta partecipa attivamente alle correnti di ricerca e sperimentazione europee. Le sue prime incisioni discografiche organiche escono per l’etichetta sperimentale Bla Bla, dal 1971 al 1975: Fetus (1971), Pollution (1972), Sulle corde di Aries (1973), Clic (1974), M.elle le “Gladiator” (1975). L’artista passa poi a Ricordi, che pubblica Feedback (1975), un album doppio che riassume la sua precedente produzione per Bla Bla, Battiato (1976), Juke Box (1977) e L’Egitto prima delle sabbie (1978). Con quest’ultimo brano per pianoforte Battiato vince nel 1978 il Premio Karlheinz Stockhausen. La svolta e la fama, improvvisa anche non voluta e mai cercata, giunge negli anni Ottanta. A Milano trova terreno fertile. Jannacci, Gaber e tutta una serie di cantautori e gruppi ne apprezzano la voce alternativa nei testi e nelle melodie. Tre album “L’era del Cinghiale Bianco” (1979), “Patriots” (1980) e soprattutto “La Voce del Padrone” (1981), il disco più venduto nella storia della discografia italiana, ne fanno un riferimento, un maestro, un numero uno. Non appartiene a scuole: è un solitario, un intellettuale, un uomo di pensiero e vive nella sperimentazione con filosofi, Manlio Sgalambro, musicisti sofisticati come Giusto Pio, scuole spirituali orientali, concedendosi qualche licenza con Alice “I treni per Tozeur. Poi tanta musica, concerti, teatri e stadi, ma anche opere classiche, contaminazioni, dialoghi. Molti hanno cercato di seguirlo, di reinterpretare le sue canzoni che restano immortali: “Ti vengo a cercare”, “La cura”, “Povera patria”, “Cucurucucu Paloma”, “Bandiera Bianca”, “Sentimiento Nuevo”, “Centro di gravità permanente”. Ma poi tanto teatro, sceneggiature, incontri e collaborazioni, direzioni artistiche. Sempre alla ricerca di un senso, un luogo, di un destino umano e ultraumano. È apprezzato da Papi, vescovi, e mufti, rabbini e capi religiosi, ma anche da cercatori di senso atei e agnostici. Negli ultimi anni a causa della malattia si è spento nel silenzio e nell’abbandono come aveva cantato e narrato in vita. Se ne va un grande come Fabrizio De Andrè, fuori dagli schemi e dal tempo, come le sue immortali canzoni. Se ne va un visionario che vedeva oltre, che ora ha raggiunto. Nelle sue parole la profondità di una esistenza: “Era magnifico quel tempo, com’era bello, quando eravamo collegati, perfettamente, al luogo e alle persone che avevamo scelto, prima di nascere”.

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