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MES: non è solo polemica

Aggiornamento: 17 mar 2023

di Pietro Terna


Fondo Salva Stati: what a MES![1] titola l’ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Il gioco di parole è con mess, confusione, per cui: “che casino”! Per chiarezza: il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è detto anche “Fondo Salva Stati”. Chi ha creato tutto ciò? Di fronte a quale problema? Mentre scrivo è il 9 dicembre 2019 e esattamente 30 anni fa, il 9 dicembre 1989, la prima pagina de “Il Sole 24 Ore”, che potete vedere nella figura in fondo al testo, informava i lettori che i Dodici (la Comunità Economica Europea in quel momento, con la riunione dei capi di Stato e di Governo), con uno stravolgimento dell’ordine del giorno avevano deciso il sì all’unificazione della Germania e, quasi in secondo piano, avviato il cammino per la moneta unica. Quelle furono decisioni, non i cambiamenti quasi insignificanti tra il nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità e il precedente. Detto per inciso, i Dodici operarono una apertura di credito immensa verso la Germania, che la debolezza della politica dei successivi decenni non ha saputo incassare.

Kohl, un vero gigante, a dispetto del finale della sua carriera, con la decisione di equiparare il marco dell’Est e a quello dell’Ovest, mise nelle tasche dei cittadini della parte orientale della nuova nazione, un aumento di valore non indifferente. Semplificando un po’, mentre la ricchezza complessiva dei paesi della Comunità non mutava, una quota maggiore era diventata tedesca. Una decisione colossale 30 anni fa, assunta con la compostezza della grande politica; una minimale oggi, con la bufera che abbiamo visto. Much ado about nothing: con Shakespeare, molto rumore per nulla.

Lo spiega molto bene Daniele Viotti in questo stesso sito, con l’articolo “Mes… sappunto”[2], sottolineando che i problemi aperti in prospettiva europea sono ben altri. Lo ha chiarito con chiarezza esemplare Gustavo Piga su “Il Sole 24 Ore” del 28 novembre 2019, con l’articolo “Più flessibilità in cambio del sì al nuovo MES”[3], mettendo a confronto il MES in vigore, definito nel 2012, e quello proposto oggi, sostanzialmente equivalenti. Quelli del What a mess! hanno detto agli italiani che il nuovo trattato introduce la ristrutturazione automatica del debito pubblico (ristrutturazione: eufemismo, neanche troppo coperto, per dire taglio e dilazione) e il prelievo forzoso dai conti correnti. Dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (il Mef) è arrivata una risposta formale proprio su questo punto: “La riforma del MES non introduce in alcun modo la ristrutturazione preventiva del debito pubblico e tanto meno prevede la confisca dei conti correnti italiani.

È una notizia totalmente infondata e priva di ogni possibile riscontro, che continua a inquinare il dibattito con tesi fuorvianti e ingannevoli”. Aggiungo che quando si chiama in causa il cosiddetto bail-in (che significa “cauzione interna”) ci si riferisce a un sistema di risoluzione di un’eventuale crisi bancaria che prevede l’esclusivo e diretto coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti, correntisti della banca stessa. Certo si è persa una occasione, e sono molto d’accordo con Piga, per negoziare il nostro voto ai minimali cambiamenti tecnici del MES, chiedendo in cambi un allentamento dei vincoli di bilancio per gli investimenti pubblici, ma il problema è lo stesso che ho richiamato presentando le proposte di Paolo Savona sempre in questo sito (“Ora Savona spariglia sul MES”[4]).

Savona propone un raffinato meccanismo in grado di rendere più “europeo” il debito degli Stati, ma è difficile farlo quando poco prima si proponeva con forza l’uscita dall’euro; nelle stesse condizioni era Tria a Bruxelles e non per sua colpa. Anche per questo non offro nessuna scusante a chi era parte del Governo Conte1 e ora sostiene che non sapeva. Scusanti che compaiono ad esempio nell’articolo di Luca Ricolfi sul Messaggero del 5 dicembre 2019: “Noi e l’Europa/Quel Trattato nasconde troppi rischi per il Paese”[5]. Certo il titolo non è scritto dall’articolista, ma è nel testo che si parla di un brutto accordo come se fosse peggiorativo, ipotizzando che ciò non fosse stato chiaramente spiegato all’interno del governo. Non si tratta di peggioramenti, non ci sono, ma di mancate occasioni. Le occasioni mancate sono tante e le paghiamo tutti, ricordando con forza quella citata all’inizio, del non aver incassato l’apertura di credito fatta con la grande e importantissima, ma costosa, decisione di unificazione della Germana nel 1989.

Sole-24 9 dicembre 1989

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