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L'aviaria è arrivata in Antartide

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi


A destare preoccupazione è la diffusione del virus in Antartide, dove la presenza è stata rilevata a febbraio e, causa la veloce diffusione nelle settimane successive, ha comportato la sospensione di quasi tutti i progetti di ricerca nella zona. A farne le spese, per ora sono gli skua, uccelli piuttosto aggressivi simili a gabbiani, ma a rischio sono soprattutto i pinguini.[1]

La lontananza geografica della diffusione del virus e il comprensibile rifiuto di tornare a parlare di epidemie rende poco interessante la notizia, ed infatti, allo stato attuale, i pericoli per l’uomo e per gli animali domestici sono assolutamente modesti, ma ciò non toglie che il fenomeno debba essere tenuto sotto costante osservazione sotto il profilo sanitario e zootecnico onde impedire degenerazioni.

 

Il monitoraggio del fenomeno

La perifericità della zona in cui si sviluppa e l’oggettiva difficoltà di monitorare il fenomeno può rappresentare un rischio per la difficoltà di rilevarlo tempestivamente. L’OMS e le Università Australiane si sono già mobilitate in tal senso in quanto sono diverse le specie minacciate dove si è già rilevata una anomala ed elevata mortalità.

Questo nuovo ceppo, catalogato come H5N1, è stato rilevato per la prima volta nell’area sub-antartica nell'ottobre 2023, dove sono stati trovati uccelli morti sull'Isola della Georgia del Sud e sulle Isole Sandwich Australi, e dove si è accertato che il virus si era già trasmesso a elefanti marini, foche, albatros e pinguini ed a febbraio è stato accertato che il virus era sbarcato in Antartide.


Come riporta la rivista “Nature”, molti progetti di ricerca sono stati sospesi per evitare di mettere in pericolo i ricercatori e per evitare possibili diffusioni del virus. Per precauzione si evita di recarsi nei luoghi considerati a rischio dove erano stati posizionati i sensori per rilevare fattori climatico-ambientali e il comportamento delle specie animali presenti in loco, sui quali da anni si raccolgono dati sul loro comportamento nel loro habitat naturale. Nel breve periodo le potenzialità delle batterie garantiscono la conservazione dei dati, ma se si supera l’anno molti lavori potrebbero andare persi. E la diffusione del virus non lascia ben sperare. Storicamente le epizoozie sono stati i flagelli più deleteri per la storia dell’umanità in quanto, un’epidemia, in un cinico calcolo, riducendo il numero di persone, rendevano più ricche le persone che riuscivano a sopravvivere, in quanto disponevano, in media, di più ricchezze e di più terreni: un’epizoozia distruggendo ricchezza (e, prima della rivoluzione industriale, un’epizoozia portava via, oltre che di una importante fonte alimentare, gran parte dei mezzi di trasporto e delle macchine movimento terra) portava alla miseria milioni di persone e, di conseguenza, anticipava tragedie immani.[2]

 

Zoonosi e infezioni

In generale, le zoonosi (infezioni che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente dagli animali all’uomo) nell'uomo possono causare malattie, che vanno da lievi infezioni alle vie respiratorie superiori (febbre, tosse, mal di testa, dolori muscolari e diarrea) a polmoniti gravi, sindromi da distress respiratorio acuto, shock che possono portare anche alla morte.

Le infezioni da influenza aviaria (etimologicamente viarius «che riguarda la via») provocano diarree acquose, che rende gli uccelli particolarmente assetati, la respirazione faticosa e provocano emorragie specie nelle zone non coperte da piume, ma per nostra fortuna i virus dell'influenza aviaria, pur essendo in grado di contagiare quasi tutte le specie di uccelli, normalmente, non infettano gli esseri umani, se non in rarissimi casi, quando una serie di combinazioni caratterizzate da contatti prolungati con volatili infetti che possono trasmettere il virus attraverso la saliva, il muco e le feci, mentre tutti i prodotti che derivano dall’avicoltura (comprese uova o carne di pollo) non presentano problemi se adeguatamente cotti.

I principali fattori di rischio per l'uomo sono connessi con l'esposizione prolungata in ambienti contaminati con alta carica virale e a stretto contatto con gli animali infetti, siano essi vivi o morti (come i mercati di uccelli vivi, e i macelli del pollame) ed il pericolo di un’infezione di aviaria è circoscritto alle persone che hanno avuto contatti con animali infetti (allevatori, macellatori, persone che allevavano polli presso le loro abitazioni, veterinari) o che sono rimaste a lungo a contatto con superfici/materiali contaminati, da piume o escrementi di pollame infetto (situazione, si spera, scongiurata in Italia, ma ancora presente nelle periferie della megalopoli di alcuni Paesi).

 


Note


[1] La resistenza del virus nell'ambiente, in generale, è legata alla temperatura e al pH del mezzo in cui si trova. Le temperature elevate rendono il virus rapidamente inattivo, mentre a temperature basse il virus tende a conservarsi più a lungo: pH sotto il 3 (fortemente acidi) e sopra il 10 (fortemente alcalini) inattivano rapidamente il virus, mentre il congelamento non offre garanzie assolute, ma solo una riduzione della carica infettante, ossia del numero di virus vitali presenti nel prodotto infetto.


[2] Occorre ricordare che i virus influenzali di tipo A ed i suoi sottotipi i emoagglutinina (HA) e neuraminidasi (NA), più che i singoli individui, che spesso, causa la lievità dei sintomi, neanche si accorgono del contagio, ma preoccupano la sanità pubblica per il loro potenziale zoonosico e, data l’elevata trasmissibilità, nel caso in cui siano in grado di trasmettersi da uomo a uomo, possono essere in grado di causare una pandemia influenzale.

 

 

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