Vox, brividi da "arriba España"...
di Menandro
Il caballero Santiago Abascal, presidente di Vox, partito di estrema destra, è un personaggio che da moderato di destra si è trasfigurato in un ultra-nazionalista, sovranista esasperato, "reazionario" e dichiaratamente franchista, amante dei revolver Smith&Wesson sotto l'ascella, come fu raffigurato alle precedenti elezioni del 2018. Figurante da operetta? Niente affatto. Abascal è lo jefe della destra omofoba e xenofoba in salsa spagnola che, incurante dei rischi di una paralisi al braccio destro per surmenage da "saluto romano" durante la campagna elettorale, in cui ha impregnato con il linguaggio aggressivo e nostalgico del suo corpo tutti i centri interessati alle amministrative spagnole. Un sacrificio ricompensato.
Domenica sera, al crollo ufficiale dei socialisti e all'uscita dal limbo del suo partito alle amministrative spagnole, ha mandato un messaggio chiaro e forte urbi et orbi: "Celebriamo il consolidamento di Vox come partito assolutamente necessario per costruire l’alternativa al socialismo, al comunismo e ai loro soci separatisti e terroristi". Il generalissimo Francisco Franco non avrebbe potuto dire di meglio. E, per evitare equivoci o malintesi, il caballero ha avvertito anche il Partito popolare, vincitore della contesa elettorale: "Vox non farà sconti".
Lecito domandarsi se in una prossima caccia agli oppositori. Del resto, con il successo - perché di successo si tratta - la destra franchista, che non ha mai sconfessato il tentato putsch del colonnello Antonio Tejero del 23 febbraio 1981 con l'irruzione in Parlamento, ha battuto un colpo. Per i nostalgici e figli di nostalgici di quella Spagna (non solo abbiente e aristocratica) che si considera con la schiena diritta, i corsi e ricorsi storici hanno un senso. Infatti, a un secolo esatto dagli avvenimenti del 13 settembre 1923, quella Spagna rivede in Santiago Abascal, naso adunco, sguardo fiero e incrollabile, lo spirito guerriero di uno dei suoi figli prediletti del Novecento, quel Miguel Primo de Rivera, il capitano generale della Catalogna che non esitò all'alzamiento, al golpe militare, contro il governo legittimo.
Certo, la situazione odierna nel suo Paese è diversa dal passato, ma Santiago Abascal potrebbe anche essere indotto a crederci. Le ragioni non gli mancano. Lui sogna una "Grande Spagna", indivisibile e imperiale, al riparo dalle sirene dell'autonomia dissoluta. Di conseguenza il risultato di domenica scorsa potrebbe essere il preludio di quel sogno seguito dall'avvento dell'agognato grido patriottico "Arriba España", con cui i falangisti di José Antonio Primo de Rivera (figlio di Miguel) e le truppe del "Tercio", la legione straniera spagnola al soldo dei congiurati, fedifraghi della Repubblica spagnola, aprirono i fuochi (tutt'altro che fatui) nella guerra civile costata un milione di morti.
Un dettaglio storico non marginale per Abascal e i militanti di Vox. Vero è che la storia non si ripete sempre alla stessa maniera, diceva Hegel. Proprio per questo non si deve escludere anche il peggio. Loro, i voxiani, sono comunque votati, con o senza (meglio con) la "camisa azul", a provocare una degna rivoluzione della destra nazionalista e sovranista in tutta Europa. Le condizioni ci sono tutte. Anzi, sono addirittura migliori rispetto agli anni Venti del Novecento.
A cento anni dalla Marcia su Roma, oggi la destra dei nipotini di Mussolini è al potere in Italia dallo scorso anno e ha ulteriormente migliorato il suo consenso alle amministrative di ieri, 29 maggio. L'Ungheria è sotto il tallone di Orban come lo era un secolo fa al servizio dell'ammiraglio filofascista Miklòs Horthy. La Polonia ha dispiegato le sue migliori forze reazionarie e sostiene una politica contraria ai diritti civili da far impallidire persino Putin, "chirurgo" di chiara fama nel taglio degli articoli costituzionali sulle libertà, e si ritrova mutatis mutandis come negli anni Venti, all'epoca del colpo di stato del maresciallo Józef Klemens Piłsudski, nato socialista, morto dittatore (parabola a quanto pare molto comune); per inciso, Ungheria e Polonia sono talmente disinvolte nel ridurre gli spazi democratici che la Commissione di Bruxelles si è dichiarata preoccupata per quanto sta avvenendo in quei due paesi.
La Finlandia, che un secolo fa era scossa da movimenti antidemocratici di destra, dalle ultime elezioni del 2 aprile scorso è nelle mani del centro destra di Antti Petteri Orpo, capo del Partito di Coalizione Nazionale, e di Rikka Purra, che domina nel partito Veri Finlandesi, decisamente contrario all'immigrazione. E il vento della destra illiberale e antidemocratica spira forte e con grintosa cattiveria in ogni angolo d'Europa e gonfia le vele di movimenti o modesti raggruppamenti politici fino a ieri più dediti a raduni nostalgici con svastiche, fasci littori, aquile romane, e a provocare disordini di piazza che a immaginarsi al governo, ma le cose potrebbero appunto cambiare rapidamente.
Germania e Francia, i due paesi asse motore dell'Europa, vivono situazioni divergenti. Il governo tedesco è a guida socialdemocratica, mentre all'Eliseo siede un centrista. Differenze non di poco, perché in Francia il presidente Emmanuel Macron è incalzato dalla destra sovranista e nazionalista di Marina Le Pen, che a sua volta è incalzata dagli estremisti duri e puri stile Oas, l'Organisation de l'armée secrète o Organisation armée secrète, struttura paramilitare terroristica che durante la guerra d'Algeria, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ricorreva al tritolo con la stessa facilità con cui a Fuorigrotta si spareranno i fuochi d'artificio per l'ultima giornata di campionato.
Visione distopica della realtà? "Arriba España", presto lo capiremo. Le elezioni europee sono dietro l'angolo.
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