Voto non scontato in Piemonte se prevale il coraggio dell'unità
- Beppe Borgogno
- 2 mar 2024
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di Beppe Borgogno

Mi si permetta di partire da un'esperienza personale per affrontare il tema politico, quello delle alleanze, comunemente inteso come "campo largo", diventato centrale per il centro sinistra con il successo di misura di Alessandra Todde in Sardegna, che Giancarlo Rapetti e Daniele Valle hanno affrontato nei giorni scorsi.[1] Ma, il rovesciamento dei pronostici provocato dal voto di domenica scorsa, 25 febbraio, è un segnale inequivocabile per affrontare ad "armi pari" la coesione che mostra il centro destra o destra centro alle elezioni.
Da qualche settimana, io e mia moglie (in verità più lei di me) stiamo cercando di aiutare una persona a noi vicina ad affrontare la complessità e l’ inefficienza del sistema sanitario piemontese. E’ una signora straniera, una badante, che sconta qualche difficoltà con la lingua, e a cui il tipo di lavoro non permette certo di passare importanti porzioni di giornata al telefono. Tutto è cominciato con un normale check up, che però ha reso necessari vari approfondimenti. Il risultato è sconfortante: una banale ecografia potrà farla non prima di settembre (alla fine ha deciso che si rivolgerà ad una struttura privata, perché il costo non è di moltissimo superiore al ticket). Un altro esame, più complesso e più urgente, non prima di luglio, e non a Torino, ma la signora non guida, dovrà essere accompagnata e sostituita nel suo lavoro per quell’intera giornata. Ultimo, non meno importante, anzi, per un esame molto urgente, indicato dal medico di base con priorità dieci giorni, non c’è posto. Ogni giorno è necessario contattare il sovracup (funziona così per le priorità) per sapere se per caso si è liberato uno spazio da qualche parte entro i dieci giorni successivi (il programma del sovracup “vede” solo quello che c’è di disponibile entro il periodo della priorità indicata). Questo da almeno una settimana. Risultato: niente. E così i dieci giorni sono già diventati quasi venti. E’ un esame piuttosto costoso, quasi uno stipendio della signora, e quindi gli istituti privati, tutti, non lo erogano in convenzione. Troveremo una soluzione, ovviamente, ma qualche riflessione, in questi giorni in cui si discute di cosa accadrà alle elezioni di giugno, è d’obbligo.
Questa è una storia, purtroppo, non straordinaria, perché in essa potrebbero certamente riconoscersi migliaia di piemontesi. Pensate cosa succede alle persone più anziane, magari sole o che non hanno nessuno in grado di aiutarle. Pensate, cioè, cosa succede alle persone che un sistema sempre meno universalistico dovrebbe difendere persino un po’ di più. Se poi a questa, o a storie simili, aggiungiamo le liste d’attesa per un intervento chirurgico, lo stato dei Pronto Soccorso soprattutto nei mesi invernali, la carenza di medici e di personale sanitario, lo spreco di risorse per sostituirli, lo stress acuto di cui soffrono il sistema e chi ci lavora dentro, il buon governo del presidente Alberto Cirio ne esce, senza neppure l'ombra di un filo di polemica, ridimensionato alla prova dei fatti.
La domanda dunque è semplice: quanto di tutto questo ha spazio, peso, cittadinanza, nella discussione su chi e che cosa opporre alla Giunta uscente il prossimo giugno? L’emergenza sanitaria, fatte le debite proporzioni, non è un argomento che potrebbe meritare una sorta di “patto regionale” paragonabile all’indispensabile “patto repubblicano” per ostacolare la riforma della Costituzione? So bene che questa domanda rischia di appiattirsi sulla demagogia, ma aiuta a fare il punto sullo stato dell’arte. Finora la discussione nel centrosinistra, e nel potenziale “campo largo”, sembra essersi arenata sul passato e sugli scontri che lo hanno caratterizzato, sulla tendenza a segnare ognuno il proprio territorio, su qualche furbizia e tanto politicismo, elementi tutti estranei alla politica che chiedono i cittadini. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le prossime elezioni potrebbero diventare scontate nel loro esito. E se anche la democrazia non è soltanto il voto, le elezioni senza competizione non aiutano a rendere più solida una democrazia.
Le elezioni presentano regole che quasi sempre piacciono soprattutto a chi pensa di poterne trarre un vantaggio. Ma esistono. E il primo atto di maturità di chi si candida a rappresentare gli interessi dei cittadini è di prepararsi a farlo adeguando le proprie scelte a quelle regole, in modo da poter competere per davvero. Il resto sono, spesso, presuntuosi bizantinismi messi lì in nome dell’autoconservazione di chi li propone. Se poi, seriamente, alcuni dei protagonisti pensano che nella potenziale coalizione di centrosinistra non ci siano le condizioni per governare insieme, allora è meglio spiegarlo con onestà e con coraggio che preludono alle responsabilità conseguenti. Provando però ad immaginare un percorso che renda il futuro di quell’area politica migliore - se tanto o un po' si vedrà in divenire - del presente.
Nulla va fatto per forza, ma resto convinto che i punti di convergenza per costruire il programma di un’ampia alleanza di centrosinistra siano davvero tanti e che la responsabilità di governare possa essere un tonico straordinario per fare bene. E per stare bene, aggiungo, perché liberarsi di tatticismi sempre più queruli mette all'angolo quei retropensieri che zavorrano capacità e propositi nella competizione.
Che naturalmente si può anche perdere. Ma la sconfitta non è sinonimo di abbandono, non coincide con la sospensione della democrazia elettorale. Morale: se i problemi rimangono, e se non si può agire su di essi dal governo, è utile farlo anche dall’opposizione. E anche in questo caso, si è più efficaci, se si è uniti. Infine, come insegnavano vecchi dirigenti politici protagonisti di battaglie ben più impegnative di questa, è sempre fondamentale sapere da chi e da che cosa si può ripartire. Anche questa è una ragione per cercare i punti di incontro prima che prendersela col vicino; il contrario non sarebbe certo l’ingrediente migliore per una ripartenza. Insomma, per poter fare qualunque cosa bisogna innanzitutto crederci ed avere il coraggio, perciò, provarci. Oppure è meglio ammettere che non ci si crede, ma almeno provare a tessere per il futuro il filo che è mancato in questi ultimi cinque anni.
So bene che la vicenda sarda non è esportabile, e che da noi la situazione è assai diversa, ma non necessariamente più complicata da allontanarci da ricercare i punti di contatto o individuare quelli divisivi da ricucire. In primo luogo, lì c’era un progetto comprensibile e riconoscibile dai sardi, perché evidentemente parlava della loro vita e delle difficoltà che incontrano. Alessandra Todde, poi, ha saputo rappresentare ed interpretare quel programma, con l’autorevolezza e la credibilità indispensabili per farlo. E c’è stata, a quanto pare, anche tanta generosità: sicuramente del PD, che evidentemente ha pensato che quelle fossero le condizioni per poter vincere. Se questa è la ragione, allora non è un difetto, come qualche commentatore ha sottolineato nei commenti del giorno dopo. Naturalmente, generosità e fiducia andranno ricambiate, e questo potremo verificarlo nei prossimi giorni.
In Piemonte non c’è Alessandra Todde, ma nella discussione cui abbiamo assistito forse c’è stata, fin qui, anche poca generosità. Non c’è generosità quando il passato prevale sui problemi quotidiani. Non c’è quando la discussione, assolutamente legittima, su un nuovo ospedale sembra svolgersi a prescindere dalla drammatica emergenza in cui la sanità piemontese è caduta. C’è poco tempo, conviene provare ad usarlo al meglio. Intanto, certamente proseguirà l’odissea della signora che stiamo cercando di aiutare nella ricerca di un modo per fare i suoi esami. E di tutti quelli come lei, ogni giorno.
Note
[1] https://www.laportadivetro.com/post/la-lezione-sarda-per-il-piemonte;
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