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Ivano Barbiero

Viaggio nell’Italia insolita e misteriosa

La Chiesa degli Impiccati di Torino



di Ivano Barbiero


S'inizia con questo racconto scritto da Ivano Barbiero e dedicato alla Chiesa degli Impiccati di Torino, il viaggio nell'Italia "insolita e misteriosa". Sarà un giro d'Italia che farà tappa ogni quindici giorni, puntualmente al venerdì, in angoli sconosciuti o quasi, mete comunque non abituali, ma dense di fascino culturale e storico, dal Piemonte all'Abruzzo, passando per l'Emilia, e con altre "divagazioni" a est e a ovest del nostro Paese.

Viaggiatore infaticabile, Ivano Barbiero, giornalista e scrittore, torinese d'adozione, percorre in lungo e in largo penisola, sempre alla ricerca delle curiosità e del mistero, e, come ama aggiungere, dell'insolito, fuori da quell'orizzonte abituale che scandisce la vita di tutti noi.


Una sicura attrazione nel campo dell’insolito la offre, a Torino, la Chiesa della Misericordia, o degli Impiccati, una delle più antiche, autentico gioiello del barocco piemontese. Si trova in via Barbaroux 41 e viene così soprannominata dal popolo perché nell'edificio sacro esiste anche la congrega dei «Confratelli della Misericordia», il cui scopo è quello di aiutare gli ex carcerati nel loro reinserimento nella società.

Una "Limosina per i carcerati"

In origine però, i confratelli di questa compagnia avevano il compito di accompagnare e confortare i condannati al patibolo sino al «rondò della forca», curarne le successive esequie e far celebrare messe in suffragio delle loro anime. Per l'occasione gli aderenti indossavano lunghi mantelli neri e un cappuccio terminante a punta che ricopriva tutto il viso, tranne due fessure per gli occhi.

Sino a non molto tempo fa alcuni di questi mantelli erano appesi in un lato della sacrestia. Ogni anno, la prima domenica dopo i Santi, gli aderenti alla Confraternita si riunivano, durante la messa delle undici e trenta, per rinnovare il loro impegno umanitario e per l'occasione si vestivano nello stesso modo. Accanto al portale dell'ingresso è ancora, visibile la fessura per le offerte; sotto è stata scolpita la scritta: «Limosina per li carcerati».

All'interno della chiesa, sulla destra, guardando l'altare maggiore, vi è una vetrina a dir poco raggelante, dove fan bella mostra di sé: una corda e la carrucola usate dal boia per impiccare i condannati. È visibile pure una lanterna, il bicchiere e il crocifisso di San Giuseppe Cafasso (l’amato sacerdote della forca), e due registri delle sentenze con nome, residenza e, qualche volta, età e motivo per cui s'applicava la pena.


"Un supplemento" prima del supplizio

Vicino alla vetrinetta accanto ad un altare laterale, si trova ancora la botola di pietra che chiude il pozzo dove venivano gettati i corpi dei giustiziati. Il pozzo, profondo una trentina di metri, contiene ancora molte ossa. Pare che nel cortile retrostante la chiesa di sera si senta uno strano fruscio; mentre qualcuno è disposto a giurare che, essendo il posto impregnato di «anime senza pace», siano gli spiriti dei condannati a provocare questo rumore.

Guardando con attenzione i registri dei condannati si nota che la pena si applicava con maggior frequenza in seguito a grassazioni, l’aggressione a mano armata a scopo di rapina, ma anche per il semplice «furto domestico». A seconda della gravità del delitto commesso si applicava, prima del supplizio, un «supplemento». È il caso di un certo “Torzia Già Domenico detto Pìcotonc, giustiziato in Torino, precedente l'applicazione delle tenaglie, per grasazione con omicidio proditorio e con conseguenti messe, da officiare”. Nessuna messa invece per “Mosino Giuseppe Anto del fu Sebastiano del luogo di Gustino, giustiziato in Torino precedente emenda, et aplicazione delle tenaglie infuocate, indi fatto cadavere e abruciato per avere uccisa sua Madre”.


Le reliquie nelle Chiese sabaude

Le chiese di Torino sono una fonte inesauribile di sorprese, almeno per quanto riguarda le reliquie e il loro culto; ovvero ogni resto del corpo o anche ogni oggetto che è o si presume appartenuto o connesso a una persona venerata come santa. Tralasciando la più importante, la Santa Sindone, il sacro lenzuolo nel quale fu accolto Gesù, ora custodita nel transetto della Cattedrale, il repertorio cittadino è quasi sterminato: orme miracolose di Santa Giuliana, mani, dita, orecchie e altre parti del corpo dei santi Tigrino, Valentino, Trazone, Ottavio, Innocenzo, Vittorio, Lorenzo da Revello, Botonto, Avventore, Ciriaco, Secondo, Teodoro, Solutore, Valerico, Pietro da Ruffia (inquisitore), Sebastiano Valfré, Gozzellino e altri ancora. Tra le sante si annoverano invece Deodata, Maria degli Angioli, Dula, Esuperanzia, Felicita, Costanza, Giuliana Vergine, Ciriaca e Basilisca. Vi sono poi i corpi interi dei santi Clemente, Faustino, Giovenale e Martinia.

In discreto stato di conservazione sono pure i crani dei santi Lucilio, Lazzaro e Lorenzo martire. Non manca una mandibola di san Giovanni Battista, un dente di sant'Apollonia, il femore della coscia sinistra di san Rocco e alcuni capelli della chioma con la quale la Maddalena asciugò i piedi di Gesù. Conservato in ottimo stato vi è pure il sasso su cui fu decollato san Solutore e l'impronta delle pedate di santa Giuliana.

In questo lungo elenco non potevano mancare le spine della corona dolorosa e un pezzo di stoffa della veste della Beata Vergine, oltre a fili di fieno del Presepio, un pezzo della Sacra Cuna e alcune schegge della vera Croce. Fra gli oggetti venerati c’è anche il berrettino di san Vincenzo Ferreri, la pianeta di san Francesco di Sales, il velo di santa Maria Maddalena de' Pazzi, il rosario di san Filippo Neri e l'osso di un braccio di san Maurizio oltre alla sua croce e alla sua spada.


Un lunghissimo elenco...

Alcune di queste reliquie si possono vedere nelle seguenti chiese e l'elenco è lungo. Alla Consolata è visibile il dente di sant'Apollonia di Alessandria (esposto il 9 febbraio, giorno della sua festa); alla Crocetta, le reliquie del Santo Legno, oltre ai santi Filippo e Grato; al Duomo, nel giorno di Natale, vengono esposte le reliquie del Sacro Fieno sul quale è stato posto a giacere in Betlemme il Bambino Gesù; alla Basilica dei santi Maurizio e Lazzaro è esposto un pezzo di legno della Santa Croce e di molti altri santi fra i quali Casimiro, Quirino, Corona, Orsola, Colomba, Sebastiano e Innocente; alla Chiesa di San Lorenzo nel giorno di Natale si espongono le reliquie della Sacra Cuna; a San Francesco il Venerdì Santo si espone una spina della corona del Nazareno; a San Rocco vi sono le reliquie di sant'Avventino, prete «taumaturgico», contro il mal di capo, che fino a non molto tempo fa si esponevano alla pubblica venerazione il 4 di febbraio; alla Chiesa del Corpus Domini in via Porta Palatina si può osservare la culla del Redentore, del velo della Beata Vergine e del Santo Legno; nella Chiesa dei Santi Martiri in via Garibaldi angolo via Botero vi sono le reliquie delle pedate miracolose di santa Giuliana, il sasso su cui fu decollato san Solutore, acqua sacramentale di sant'Ignazio; alla Gran Madre di Dio, a settembre, viene esposta una reliquia del Santo Legno, mentre all’esterno qualcuno favoleggia che il calice sostenuto con la mano sinistra da una delle statue (nella foto), quella della Fede, sia quella del Santo Graal, ovvero la leggendaria coppa con la quale Gesù celebrò l’ultima cena e nella quale il suo sangue fu raccolto da Giuseppe d’Arimatea dopo la crocifissione.

Ultima chicca, nella chiesa collinare di San Vito, Modesto e Crescenzia, vi sarebbero addirittura le reliquie di San Valentino, il patrono degli innamorati che si festeggia il 14 febbraio e da cui il grande parco cittadino che si allunga di fianco al Po prende il nome. La certezza assoluta non c’è, visto che negli Acta Sanctorum della Chiesa Cattolica i santi di nome Valentino sono addirittura 18, ma poiché le reliquie sono lì dal 1769 e in quello stesso anno l’arcivescovo di Torino, Francesco Luserna Rorengo, ne autorizzò la venerazione, non guasta di certo pensare che Torino sia anche la città dell’amore, oltre che dell’eleganza e della bellezza.


La storia cristiana da Costantino in avanti

Come nasca il sentimento di devozione verso questi oggetti è comprensibilissimo. I primi cristiani, che venivano perseguitati ed erano costretti a nascondersi, onoravano in gran segreto i resti mortali e anche le ceneri delle stoffe intrise di sangue dei loro compagni morti per il Vangelo. Il permesso di costruire chiese e santuari dedicati ai santi e di venerare le loro reliquie fu ottenuta soltanto nel 313 con la concessione della libertà religiosa da parte dell’imperatore Costantino. Sempre in quello stesso periodo, per permettere ad ogni comunità di avere un ricordo del santo, fu introdotto l’uso di separare piccole parti di reliquie dai resti perché fossero presenti in varie parti del mondo.

Fu l’imperatrice Elena, madre di Costantino, che diede un grandissimo impulso al culto delle reliquie. Dopo essersi convertita al Cristianesimo, nel 327 andò in Terra Santa in pellegrinaggio. La tradizione racconta che ritrovò diverse reliquie della Passione di Gesù: dalla corona di spine ai chiodi usati per la crocifissione, dall’iscrizione apposta sopra la testa di Gesù e addirittura la croce stessa.

Il viaggio di Elena contribuì ad aumentare la devozione verso tutti i santuari che potevano vantare il possesso di una reliquia e per questo motivo le chiese facevano anche a gara per accaparrarsele. A volte venivano persino rubate da ladri professionisti, in special modo durante i saccheggi delle città. E non mancavano mercanti senza scrupoli che commerciavano presunti resti di santi o beati approfittando dell’ingenuità e della buona fede dei compratori.


Il colpo di freno del Concilio di Trento

La venerazione delle reliquie nel Medioevo raggiunse il massimo, sconfinando spesso nella superstizione, poiché a questi resti venivano attribuiti poteri miracolosi: il solo toccarli permetteva infatti di ottenere guarigioni o grazie impossibili. Logico che con questi presupposti le reliquie si moltiplicassero in maniera quasi esponenziale. Sparse per l’Europa si potevano contare tre teste di San Giorgio, 60 dita di San Giovanni Battista, diverse culle di Gesù Bambino e 10 suoi prepuzi (la parte del pene recisa durante la circoncisione rituale) oltre a innumerevoli frammenti del legno della croce, che se fossero stati messi tutti assieme l’avrebbero fatta pesare 5 quintali.

Il Concilio di Trento (1545-1563) frenò il culto delle reliquie, in realtà già scemato dopo la Riforma protestante. Il Concilio affermò che la Chiesa cattolica onorava le reliquie, ma solo quelle autentiche e solo dopo avere proceduto a una rigorosa verifica dell’autenticità. Quelle stesse posizioni furono poi ribadite nel 1962 dal Concilio Vaticano II, mentre nel 1984, il Codice di Diritto Canonico ne vietò la compravendita regolamentando anche il loro trasferimento.

Al giorno d’oggi le reliquie vengono considerate “un accompagnamento della vita sacramentale” e fanno comunque ancora parte integrante della religiosità dei popoli.

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